25 APRILE 2020 DI LOTTA

25 APRILE DI LOTTA CONTRO FASCISMO, RAZZISMO E SESSISMO

Il 25 Aprile ricordiamo la lotta delle Partigiane e dei Partigiani per rendere reale il mondo libero che immaginavano per sé e per il futuro, le conquiste antifasciste di allora ma anche le tante lotte che oggi non smettono di sognare un mondo diverso, in cui conquistare e riconquistare spazi di libertà.
Non è un rito di commemorazione privata, non è una sfilata di buoni principi, è una pratica che ci unisce e rinnova il cammino di liberazione che percorriamo ogni giorno.

DELLA BELLEZZA DEL LOTTARE INSIEME

…abbiamo deciso di portare comunque il nostro  saluto al compagno
partigiano Dante di Nanni perchè per noi questo giorno non è una semplice
ricorrenza e lo stare insieme è importante per riconoscerci nel solco di
quelle lotte. Abbiamo percorso le vie del quartiere augurando un buon 25 Aprile di resistenza agli/alle abitant* di Zona San Paolo che hanno risposto salutando con applausi il passaggio del corteo, segno che è ben presente nella coscienza di moltissime persone la consapevolezza che la ricerca del profitto è il vero problema della nostra società, che a farci ammalare è lo sfruttamento del lavoro e dell’ambiente; ad aver favorito la diffusione del virus è stato il continuare a dover lavorare in luoghi insicuri e non il passeggiare in un parco.”

Comunicato completo ->https://bit.ly/2VWLZWT

#partigianesempre

VINKA KITAROVIC’- LINA/VERA

Vinka Kitarovic’ nasce nel 1926 a Šibenik (Sebenico) sulla costa della Dalmazia, in Croazia. Nel 1941 ha solo 15 anni quando ha inizio l’occupazione nazista-fascista della Jugoslavia. Lo stato si disgrega, l’esercito jugoslavo è allo sbando, si cominciano a formare le prime brigate partigiane jugoslave e nelle città cominciano ad arrivare nazisti e fascisti. In particolare a Sebenico sbarcano dai camion i soldati italiani, prendono il comando della città presto raggiunti dalle camicie nere. Vinka viene da una famiglia naturalmente antifascista; il padre, tra l’altro aveva combattuto contro gli italiani per le strade di Sebenico proprio quando D’Annunzio era andato a prendersi Fiume e in alcune delle altre città come Sebenico e Spalato gli italiani, sperando che D’Annunzio arrivasse anche li, avevano cominciato ad attaccare la popolazione croata.

Iscritta all’Unione della Gioventù Comunista Jugoslava dal 1942, nell’ottobre dello stesso anno viene arrestata a Sebenico dalle forze di occupazione italiane e, dopo quindici giorni di carcere, deportata e destinata insieme ad altre due studentesse, Marija Separović e Visnja Gavela, ad un istituto “per la rieducazione delle minorenni traviate” in via della Viola a Bologna. Riesce a fuggire in occasione di un bombardamento alleato del 5 ottobre 1943 insieme a Marija Separović, mentre Visnja Gavela era stata precedentemente liberata. Entrate in contatto con la Resistenza in Italia Vinka e Marija scelgono di unirsi alle formazioni combattenti in montagna nella zona di Monte San Pietro. La loro formazione viene presto sciolta a causa di una delazione e le ragazze rientrano a Bologna e iniziano a operare nella ricognizione di obiettivi militari strategici da sabotare e nel pedinamento di gerarchi fascisti. Alla fine di gennaio del 1944 Marija è destinata a Villanova di Castenaso, mentre Vinka entra a far parte della costituenda 7ª Brigata GAP “Gianni Garibaldi” col nome di battaglia Lina e, come staffetta, si occupa di trasportare armi, munizioni, ordini e materiale di propaganda.

A giugno, avvertita di essere ricercata dai fascisti si trasferisce a Modena dove, col nome di Vera, diventa staffetta del comando della 65ª Brigata Garibaldi “Walter Tabacchi” della 2ª Divisione Modena Pianura, con Italo Scalambra. Alla fine dell’anno diventa componente dell’ufficio di collegamento del CUMER (Comando Unico Militare Emilia-Romagna) col compito di individuare la dislocazione dei mezzi corazzati e delle postazioni nemiche, trasmettere ordini alle varie brigate, portare al sicuro compagni e alleati paracadutati. Il 22 aprile 1945, giorno dell’arrivo degli angloamericani, Vinka Kitarović, appena diciannovenne, si trova a Modena, già interamente liberata. Viene riconosciuta Partigiana Combattente dall’8 febbraio 1944, con il grado di capitano.

Dopo la guerra è spesso intervenuta a testimoniare la propria esperienza nella Resistenza e fino alla morte, avvenuta nel 2012, ha fatto parte della presidenza provinciale dell’ANPI di Bologna e dell’Associazione dei perseguitati politici antifascisti (ANPPIA).

CORNELIA (NELIA) BENISSONE COSTA – VITTORIA

Nasce a Torino il 18 novembre 1915, figlia di Caterina Fenoglietto e Angelo Benissone.Il padre Angelo si impegna alla Camera del lavoro con Pietro Ferrero, diventa responsabile del sindacato metallurgico e alla sera frequenta la scuola anarchica Francisco Ferrer. Scrive per “Umanità Nuova” poi per “l’Unità” e dopo anche per “l’Ordine Nuovo”. Boicottato dal regime, Angelo continua a non trovare lavoro nonostante sia fucinatore specializzato. La madre Caterina è una ricamatrice, ma si adatta a qualsiasi lavoro. Lavora alle forniture militari, nelle poltrone Frau, nel calzaturificio, alla sera ricama abiti da sposa. Nonostante le scarse risorse economiche lei e il marito aiutano il Soccorso rosso, in nome del principio che “I compagni in galera stanno peggio di noi”.Dopo l’8 settembre nascondono nella loro abitazione soldati sbandati, riuscendo a farli espatriare in Svizzera. Purtroppo nel marzo del 1944 il marito muore e Caterina prende il suo posto con il nome di battaglia Angiolina. Cornelia nel 1924, a poco più di otto anni, organizza nella sua scuola (Gian Enrico Pestalozzi di via Monte Bianco oggi via Antonio Banfo) uno sciopero di protesta contro i fascisti. Finite le elementari, lavora come apprendista in pelletteria e frequenta una scuola serale.

È attiva nel Partito comunista dal 1938. Il 25 luglio del 1943, in piazza Castello esorta i soldati ad affidare le armi al popolo. Dal febbraio del 1944 è tra gli organizzatori dei GAP e delle SAP torinesi e partecipa personalmente ad alcune azioni. Successivamente diventa responsabile organizzativa del PCI e dei Gruppi  di  difesa  della  donna  del Primo Settore e  dal  dicembre  1944, dell’intera città di Torino. Nei giorni della Liberazione è anche responsabile militare del Primo Settore. Dopo la liberazione lavora all’UDI e successivamente viene designata responsabile femminile per l’organizzazione provinciale del PCI. Si sposa nel 1947 e, con il matrimonio, cessa la sua attività di funzionaria di partito. Muore nel 2013.

LA RESISTENZA IN ALTA VAL CHISONE E L’IMPICAGGIONE DI OSVALDO JALLA’ 

La zona del Pinerolese lungo tutta l’alta val Chisone, da Fenestrelle al Sestrière, era teatro dell’attività di tre distinte formazioni partigiane: la I Divisione d’assalto Garibaldi, comandata da Pompeo Colajanni (“Barbato”); la V Divisione alpina di Giustizia e Libertà “Sergio Toja”, particolarmente attivo a Torino e nei territori valdesi; e infine una formazione autonoma, la Divisione Alpina autonoma “M.O. Adolfo Serafino”, comandata da un sergente degli alpini, Maggiorino Marcellin, “Bluter”. Questa formazione prendeva in considerazione le direttive politiche del CLN solo come aiuto e consiglio, e non prevedeva la presenza di un commissario politico, considerata una figura troppo “sovietica”. Aumentando però la consistenza della formazione e la necessità di intrecciare rapporti con le popolazioni e con i comuni della valle, assume sempre maggiore importanza la figura del delegato civile. Suo compito era appunto quello di mediare fra militari e civili e organizzare l’intervento dei comuni nel rifornimento diretto delle bande. Una zona libera si organizza già nel febbraio del 1944, quando le forze partigiane occupano le due estremità della valle e riuscono a tenerla fino al 30 marzo. La zona libera comprendeva i comuni di Perosa Argentina, Roreto (oggi frazione di Cherasco), Fenestrelle, Pragelato, Sestrière, Cesana, per complessivi 8.500 abitanti circa, cui vanno aggiunti quelli delle valli Germanasca e Argentera, mentre in Val Troncea si trovavano magazzini e depositi, oltre a zone previste come rifugio. Una prima offensiva nazifascista si sviluppa in aprile, costringendo i partigiani a ritirarsi in alta montagna. Ma subito dopo sono i tedeschi ad abbandonare la zona troppo impervia per essere agevolmente difesa. Il 19 di maggio il Comando militare decide di ripristinare la zona libera, che si estende fino all’alta Val Susa da Ulzio a Clavières, oltre alla bassa Val Chisone.

Verso la fine di luglio si avvertono le prime avvisaglie di un attacco tedesco: vengono concentrate truppe in Val Susa e all’imbocco della Val Chisone. La formazione di Marcellin – caso unico nella resistenza italiana – dispone di dieci pezzi di artiglieria da montagna, di mortai da 81 e di mitragliatrici pesanti e si prepara a resistere facendo lavori di fortificazione. Il 31 di luglio compaiono i carri armati e si scatena la battaglia. Vi intervengono anche gli aerei Stukas che bombardano la linea di difesa partigiana. Il 6 agosto il Comando partigiano decide di abbandonare la battaglia campale e tornare alla guerriglia. Divisi in piccoli gruppi, i partigiani raggiungono la Val Troncea. Lì Marcellin viene raggiunto da Serafino Griot, commissario prefettizio di Pragelato, in qualità di ambasciatore dei tedeschi, i quali offrono di aprire una trattativa, garantendo ai partigiani la vita in cambio della resa. Marcellin rifiuta la resa con grande fermezza: “le nostre montagne sono nostre”, risponde fieramente al nemico. Dalla Val Troncea, con marce penosissime, quasi senza toccare cibo per giorni interi, alcuni passano il confine e si rifugiano in Francia, altri si infiltrano in Val Varaita. Il 10 settembre saranno di nuovo alla lotta in Val Chisone.             

Osvaldo Jallà, nativo di Luserna S.G., di anni 20, viene catturato in Val Pellice durante il massiccio rastrellamento denominato “operazione Nachtigall”. Dopo essere stato pesantemente interrogato e percosso, il giorno 8 agosto 1944 viene condotto a San Germano Chisone per essere giustiziato, per dare una lezione ai partigiani del vallone di Pramollo che compivano continui attentati contro i soldati e sabotaggi alle comunicazioni (tranvai Pinerolo-Perosa). Jallà viene portato al mattino sulla piazza del paese, lo accompagna il pastore valdese Bertin per confortarlo. I tedeschi radunano la popolazione per assistere. Una squadra di militi delimita l’area davanti il municipio, il capestro era attaccato al balcone. L’esecuzione ha inizio, tolto il tavolino su cui stava Jallà il corpo cade ma la corda si spezza, ed il giovane finisce a terra tramortito. Il pastore urla: “Basta! L’esecuzione non si deve più fare!” Ma il comandante del plotone grida: “No, sabotaggio! Rimettetelo su!” – La corda viene cambiata e il giovane nuovamente impiccato davanti alla gente allibita. Secondo le testimonianze ancora alle quattro del pomeriggio, il comandante tedesco è seduto su una panchina della piazza, continuava a controllare il corpo del giovane ribelle ancora appeso. Valdo era fuggito dalle SS italiane e si era unito ai partigiani; l’impiccagione era la condanna stabilita dalla legge marziale per i disertori. La sua impiccagione (indice di infamia, mentre la fucilazione era riservata ai combattenti) doveva servire da esempio oltre che per la popolazione civile e i partigiani anche per i militi fascisti.

Filiz Şaybak – AVESTA

Filiz Şaybak nasce a Mezri nel distretto di Van nel 1982; é la più piccola di undici fratelli e sorelle. Durante il periodo del liceo, insieme al fratello Tekin, col quale ha un rapporto molto stretto, conosce il movimento dei giovani e delle giovani curde e si unisce alle loro attività. Nel 1999 partecipa attivamente alle manifestazioni per la liberazione del leader curdo Abdullah Ocalan, arrestato in quell’anno con la vergognosa complicità del governo italiano. In quel periodo sia lei che il fratello sono arrestati diverse volte dalle autorità turche. Il fratello dopo aver subito torture, viene sottoposto a un processo in seguito al quale viene condannato a dodici anni per terrorismo. Grazie ad un’amnistia Tekin viene rilasciato dopo due anni. Dopo la liberazione Tekin decide di raggiungere i guerriglieri curdi in montagna con il nome di battaglia Harun Van. Dopo la morte del fratello, caduto in una vigliacca imboscata dell’esercito turco nella zona tra Dersim e Bingol Filiz decide di unirsi all’HPG, le Unità di Difesa del Popolo del PKK, il Partito dei Lavoratori del Kurdistan con il nome di battaglia Avesta Harun. Avesta partecipa alla sua prima azione militare il 7 ottobre 2007 sui monti Garbar. Nel gennaio del 2008 prende parte al contrattacco all’Operazione Sole, un’invasione terrestre del nord dell’Iraq effettuata dall’esercito turco con l’impiego di un contingente di 10mila uomini e massicci bombardamenti dell’aviazione.

Nel 2012 è operativa nella provincia di Hakkari, vicino a Semzinan dove svolge e coordina divere azioni di sabotaggio. Dalla lotta contro l’occupante turco alla lotta contro lo Stato islamico sostenuto e foraggiato dalla stessa Turchia del dittatore Erdogan: nel 2014, è alla guida del suo gruppo durante le operazioni militari per liberare Mexmur, da dove trentamila civili erano stati costretti alla fuga. L’operazione riesce vittoriosa e senza riportare vittime tra le file della guerriglia curda. Successivamente la controffensiva curda si muove verso la vicina Makhmour, formata da cinque villaggi. Dopo la liberazione dei cinque villaggi, Avesta e i suoi compagni e le sue compagne continuano l’avanzata verso Fatimiye. Il 12 settembre 2014, durante l’ultima azione militare per liberare la città, viene colpita a un fianco e a un omero da un cecchino delle truppe di daesh in ritirata. Durante il trasporto d’urgenza all’ospedale di Erbil, capitale del Kurdistan iracheno, il mezzo salta sopra una mina e Avesta muore. Nella sua giacca aveva una chiavetta usb, dentro un file con una lettera dedicata al fratello Harun: “La mia vita è una goccia nel mare, la tua vita è una goccia nel mare. La storia del popolo curdo è il mare. Il suo dolore un oceano, ma resistiamo e andiamo avanti”.

FRANCA RAME E LA CORRIERA “LA BALORDA”

Franca Rame nasce il 18 luglio 1929 a Parabiago, un piccolo paese (allora) in provincia di Milano, per un caso: la sua famiglia recitava lì. Il padre Domenico, la madre Emilia, il fratello Enrico, le sorelle Pia e Lina, gli zii e cugini, con aggiunta di attori e attrici scritturati, costituivano una compagnia familiare “girovaga” che si esibiva in un suo teatro in legno, smontabile, che conteneva oltre 800 posti a sedere e giravano per i paesi e le cittadine della Lombardia, Veneto e Piemonte, recitando drammoni e operette. (Durante la guerra venne requisito dal governo e fu usato come ospedale da campo). La simpatia e i consensi erano grandi.  La Famiglia Rame aveva tradizioni teatrali antichissime, risalenti al 1600; erano attori, burattinai o marionettisti secondo le occasioni. Con l’avvento del cinema decidono di abbandonare burattini e marionette e di passare al “Teatro di Persona”, arricchito con tutti gli “effetti speciali” del teatro con pupazzi. 

Nella miglior tradizione della Commedia dell’Arte, recitano improvvisando, utilizzando un repertorio di situazioni e dialoghi tragici e comici. I testi degli spettacoli andavano dal teatro biblico a Shakespeare, da Cechov a Pirandello, da Nicodemi ai grandi romanzi storici a sfondo sociale dell’800, spesso legati al pensiero socialista e anticlericale. Così erano rappresentate, solo per citarne alcune, le vite di Giordano Bruno, Arnaldo da Brescia e Galileo Galilei.  Spesso capitava che debuttassero in una nuova cittadina o paese mettendo in scena, dopo aver fatto inchiesta-ricerca tra la popolazione, i fatti salienti, tragici o comici avvenuti in quel luogo, comprese le vicende legate al Santo o alla Santa Patrona.  Domenico Rame, oltre che primo attore, era, diremmo oggi, il manager della compagnia. Suo fratello Tommaso, di fede socialista, era il poeta, il ruolo che copriva nella compagnia era l’antagonista o il comico brillante.

Spesso, gli incassi delle serate erano devoluti in sostegno alle lotte operaie, fabbriche in occupazione, o per contribuire alla costruire di asili o altri scopi benefico-sociali.  Si spostavano di paese in paese, città e cittadine con una corriera che chiamavano “Balorda” per gli improvvisi blocchi del motore e le egualmente miracolose riprese di funzionamento. 

LA RESISTENZA DI PARMA DA “OLTRETORRENTE” DI PINO CACUCCI E L’OMICIDIO DI MARIO LUPO 

Il romanzo parla dei fatti di Parma, città che nell’agosto del 1922 si arma per respingere 10mila fascisti guidati da Balbo pronti ad occupare la città. Per giorni bambin*, anzian*, uomini e donne antifascist* combattono casa per casa riuscendo a sventare gli squadrono fascisti. A quasi cento anni da quelle grandi giornate di antifascismo troviamo ancora una volta nell’esempio e nella memoria due strumenti per ricordare che l’antifascismo è un valore non retorico che va praticato materialmente, ogni giorno, in ogni quartiere, come cent’anni fa avvenne nel quartiere Oltretorrente a Parma.  “Balbo t’è pas’è l’Atlantic mo miga la Perma”

L’omicidio di Mario Lupo                        

Appena diciannovenne, siciliano, Mariano Lupo giunge a Parma nei primi anni Settanta, insieme alla famiglia. Qui trova lavoro come manovale piastrellista e si avvicina a Lotta continua. Come in tante altre città, anche a Parma, in quel periodo, i militanti dell’estrema destra organizzano attentati a sedi delle forze democratiche e pestaggi contro i loro attivisti, tanto che in un rapporto del 3 agosto 1972 la Questura parla di un “vero e proprio piano di provocazione e intimidazione di chiaro stile fascista messo in atto […] da un gruppo di fanatici”. In quell’estate, Mario – così lo chiamavano gli amici – ha a che fare più volte con le aggressioni di alcuni di quei picchiatori e, per sicurezza, come altri “compagni”, non si muove mai da solo. Tuttavia, la sera del 25 agosto, davanti al Cinema Roma, in viale Tanara, un gruppo di neofascisti, armati di coltelli, gli tende un agguato e lo uccide.

Due giorni dopo, un corteo della sinistra rivoluzionaria si dirige verso la sede del Msi di via Maestri e la devasta. Il 28 agosto, poi, si svolgono i funerali in forma pubblica. La camera ardente viene allestita nella sala del Consiglio comunale, dove alla salma di Lupo è reso omaggio da un continuo via vai di delegazioni politiche e gente comune. Dal Municipio, poi, prende le mosse un imponente e commosso corteo di decine di migliaia di persone che, attraverso le principali strade del centro, si sposta nel rione popolare dell’Oltretorrente e raggiunge piazza Guido Picelli. Qui, davanti a un’immensa folla, il vecchio senatore Giacomo Ferrari − già comandante delle brigate partigiane del Parmense e sindaco della città – commemora il giovane rivoluzionario come un “nuovo partigiano”, un nuovo martire della lotta antifascista.

  1. Ada Gobetti – Diario partigiano
  2. Bianca Guidetti Serra
  3. Firma della resa tedesca
  4. Io vado madre
  5. Lidia Menapace, nome di battaglia “Bruna”
  6. Luis Sepulveda – Rose di Atacama
  7. Resistenza di Gabriella Degli Esposti
  8. Un fiore che non muore
  9. Lapide Partigiana Piazza Adriano (Torino)
  10. Lapide partigiana Via Valdieri (Torino

#MusicaResistente

Mr.T-Bone – Bella Ciao

Bull Brigade – “Mai Confonderla” (acoustic Version)

E Io Ero Sandokan – Johnny Rankore

Cato – Fischia il vento

Davide Vietto

Talco – Bella Ciao (Live @ CSOA Gabrio)

Dubioza Kolektiv – Vlast I Policija a.k.a. fuck the police & Recesija (live @ CSOA Gabrio)

New York Ska Jazz Ensemble – Haitian Fight Song + Volare ( Live @ CSOA Gabrio)

Africa Unite – Rasta Soul/Lega La Lega (live @ CSOA Gabrio)

 

 

???? #partigianeovunque