★ PROGRAMMA
ORE 18 @CSOA Gabrio
PRESENTAZIONE DEL LIBRO
LA MORTE, LA FANCIULLA E L’ORCO ROSSO
del Collettivo Nicoletta Bourbaki
ORE 19 @CSOA Gabrio
APERICENA A CURA DI INCURSIONI SAPORITE
ORE 21 LA GUERRA DEL DEBITO
Incontro con MAURIZIO PAGLIASOTTI e ANTONIO DE LELLIS
ORE 21 @CSOA Gabrio
PRESENTAZIONE DEL FILM/DOCUMENTARIO
NON CI E’STATO REGALATO NIENTE
di Eric Esser
25 APRILE
Corteo antifascista per le vie di Zona San Paolo
ORE 14 @Parco Artiglieri da montagna
A SEGUIRE VIA DANTE DI NANNI PEDONALE
★ COMUNICATO ★
Oggi,ieri,domani.Sempre.
Come ogni anno, il 25 aprile, scendiamo per le strade di borgo San Paolo per manifestare contro i fascismi di ieri e i fascismi di oggi.
La storia dellə partigianə e la storia della liberazione ci ricordano quanto ci sia ancora da lottare.
Quest’anno sposteremo l’inizio della passeggiata in un luogo particolarmente evocativo per questa città e per questa circoscrizione, per la sua posizione e per le lotte che l’hanno caratterizzato segnandone la storia passata e attuale: il giardino artiglieri da Montagna.
Evocativo perché dirimpetto al Carcere le Nuove, simbolo della repressione fascista, luogo di reclusione per gli oppositori del regime e dopo l’8 settembre 1943 carcere per operai, ebrei, partigiani, renitenti alla leva, rastrellati dalle SS.
Evocativo perché a pochi passi da un simbolo della repressione, il palazzo di giustizia, le cui aulee sono note alle tante persone che continuano a lottare per una vita degna e un altro mondo possibile. ⟩ Continua a leggere
★★★★★
20 APRILE
ORE 18 @CSOA Gabrio
PRESENTAZIONE DEL LIBRO
LA MORTE, LA FANCIULLA E L’ORCO ROSSO
del Collettivo Nicoletta Bourbaki
La storia è un campo di battaglia: stanch3 anche tu delle bande musicali in via Rasella?
Giovedì 20 aprile 2k23 Nicoletta Buorbaki presenterà “La morte, la fanciulla e l’orco rosso” frutto di un approfondito lavoro storiografico collettivo che smonta pezzo per pezzo l’operazione di revisionismo sul caso Ghersi diventato, in questi ultimi anni, il cavallo di battaglia dei fascisti con cui denigrare e calunniare la lotta partigiana. Durante la ricerca Nicoletta si è imbattuta anche nella vicenda del presunto “eccidio di Monte Manfrei” approfondendola.
La pubblicistica di destra ha sempre sete di sangue e vicende splatter per colpire e cancellare dal nostro immaginario gli ideali e lo spirito di sacrificio di chi scelse di lottare contro le forze nazifasciste dando vita all’attuale repubblica: vediamo come funziona la macchina delle storie antipartigiane, e come nell’attuale infosfera tali storie diventino virali.
Vi aspettiamo con gli autori alle ore 18 c/o CSOA Gabrio_Torino_Via Millio 42
21 APRILE
ORE 19 @CSOA Gabrio
APERICENA A CURA DI INCURSIONI SAPORITE
ORE 21 LA GUERRA DEL DEBITO
Incontro con MAURIZIO PAGLIASOTTI e ANTONIO DE LELLIS
LA GUERRA DEL DEBITO
Torino: esistono libertà e democrazia con un debito di 3 miliardi di euro?
Ne parliamo con
ANTONIO DE LELLIS
(Comitato per l’Abolizione del Debito Illegittimo)
MAURIZIO PAGLIASSOTTI
(scrittore)
La città di Torino è sospesa in un lungo limbo determinato dal debito: per ripagarlo le amministrazioni (di qualsiasi colore politico) ci hanno sottoposto a dure “cure” fatte di tagli ai servizi, aumenti delle imposte e svendita del patrimonio pubblico.
Le élites (il famoso “sistema Torino”) hanno utilizzato il debito come la “tempesta perfetta” per imporre la visione di una città con un futuro di rendite finanziarie ed eventi internazionali. La città fordista è così sparita, cancellando non solo il lavoro, ma tutte le conquiste sociali, fino a non lasciar spazio per chi è ai margini e vive nelle periferie, saccheggiate per fare cassa.
Eppure a ben guardarlo il debito della città ha dei responsabili ben chiari tra amministratori “disattenti” (o sarebbe meglio definirli ignari? ignoranti? complici?) e istituti creditizi pronti ad approfittarne: si sarebbe potuto, ma soprattutto si può fare molto di più per eliminarlo.
Come? Ne discuteremo venerdì 21 aprile.
debi.to@mail.com
23 APRILE
ORE 21 @CSOA Gabrio
PRESENTAZIONE DEL FILM/DOCUMENTARIO
NON CI E’STATO REGALATO NIENTE
di Eric Esser
Annita Malavasi aveva 22 anni quando nel 1943 le truppe tedesche occuparono l’Italia fin a quel momento alleata. La partigiana “Laila” ha trasmesso informazioni, trasportato armi, si è mossa tra le unità combattenti prendendo personalmente parte alla lotta armata. Per oltre un anno è rimasta sui monti a combattere contro l’occupante tedesco, dovendosi inoltre imporre in quanto donna tra gli uomini delle comunità montane dell’epoca. Sul finire della guerra Laila è stata una delle poche donne comandanti della Resistenza italiana.
Il film racconta la storia di un percorso di emancipazione lungo tutta una vita ed iniziato con la lotta di liberazione contro il fascismo. Laila e due sue compagne, Gina “Sonia” Moncigoli e Pierina “Iva” Bonilauri, raccontano della propria esperienza nella Resistenza e di cosa essa abbia significato per loro e per molte altre donne.
★Letture★
Rosa Tiddei
NAP (Nuclei Armati Proletari)
SERGIO BELLONE
Una fame instancabile – Partigiani a Torino
di Silvio Borione e Giaka
“[…] il 26 luglio la città scendeva comunque in strada tra le macerie, felice e incredula dopo che le radio nei bar avevano annunciato la caduta del duce.
Era finito il fascismo! Il giorno prima il re d’Italia aveva accettato le dimissioni di Mussolini da tutte le cariche e aveva nominato a capo del governo il maresciallo Badoglio. Quello stesso giorno la casa littoria e le sedi rionali dei gruppi fascisti vennero assaltate e distrutte così come subito si creò una folla di fronte alle Nuove.
Io stavo correndo con Silvio per il quartiere verso l’Amos Maramotti quando incontrai Claudio: «Dove vai Biund? Vieni, andiamo a prendere tuo padre».
Quando superammo piazza Adriano per prendere corso Vittorio già si vedeva la folla che chiedeva libertà per i prigionieri. Claudio si fece strada tra le persone portandoci fin davanti al portone dove un uomo piccolino stava tenendo un comizio.
«Finalmente dopo vent’anni di schiavitù, di galera…».
Claudio si guardava intorno serio, ci accennò che il piccolo uomo
si chiamava Luigi Capriolo.
«Dopo vent’anni di dolori inenarrabili finalmente il fascismo se n’è andato! Ma nostri compagni giacciono ancora nelle carceri!». La folla non lo fece finire, fermò un camion dal corso e lo fece entrare in retromarcia contro il portone, sfondandolo. Claudio ci fece l’occhiolino.
«State qua, che vado a recuperare Eugenio».
Entrò tra i primi con una mano a stringere la pistola in tasca, le guardie non si misero in mezzo e poco dopo i primi carcerati guadagnavano la luce del giorno. La gente si abbracciava, rideva, piangeva.
Ed ecco Eugenio, solo un po’ più vecchio, un po’ più stanco, che già parlava fitto con il suo amico e compagno di mille battaglie. Mi riservò uno sguardo, un sorriso e una carezza sulla testa. Mentre ci allontanavamo il piccolo uomo saliva tra le colonne centrali dell’ingresso.
«Oggi avete compiuto il primo atto di giustizia! Ora bisogna chiedere
la pace, a ogni costo!».
Rosa Tiddei
NAP (Nuclei Armati Proletari)
da Sovvertendo l’ordine patriarcale – Storie di donne armate e rivoluzioni
“… – la cosa più inebriante e che ti dava alla testa era quel senso di avere nelle mani la tua vita e sentire che insieme si poteva cambiare la storia. Sentivamo che pianificando, discutendo, immaginando e praticando insieme, grazie alla forza di tutte, le cose si stavano muovendo in quella direzione; un sentimento di potere buono, creato con altre donne: qualcosa che sono grata di aver vissuto. […]
Quando sono stata arrestata, a ventidue anni, come è successo a tutte noi, la prima cosa è stata mettermi in isolamento in quel luogo dove non sai nulla di quello che sta succedendo fuori, non ricevi notizie, ecc. Quando sono uscita dall’isolamento, nella prigione metropolitana di Rebibbia, era un periodo di aspre rivolte all’interno delle carceri, siamo salite sui tetti e come punizione siamo state trasferite in varie carceri italiane. Passò molto tempo prima che, per la prima volta, i miei genitori venissero a trovarmi.
Ricordo che mia madre mi chiese allarmata: “È vero? È vero?”.
Pensavo che stesse parlando della scelta della lotta armata, ma ho scoperto che si stava riferendo al fatto che, dopo il mio arresto, sono state pubblicate diverse notizie “rosa” sul mio conto. Io, per conto dell’organizzazione, avevo affittato diverse case, i cosiddetti “covi”. Quando queste case sono state trovate, sui giornali veniva dato grande risalto all’aver trovato completini intimi osé con cui dicevano che io ricevevo i compagni. Dato che ero giovane e belloccia, e poiché non si poteva accettare che una donna potesse imbracciare le armi perché credeva fermamente in quella lotta, avevano costruito quel personaggio, insieme a fantasiose storie di armi e sesso, strumentalizzando anche il fatto che fossi una madre single.[…]
Anche all’interno della militanza mi ritrovavo alle prese con la questione dei ruoli: la donna che non parlava e gli uomini che occupavano troppo spazio. Quanto paternalismo! Dovevamo essere sempre controllate e non potevamo avere un’identità nostra. Nella migliore delle ipotesi potevamo aspirare a essere quello che era chiamato “l’angelo del ciclostile”, che era una vecchia macchina che esisteva prima della fotocopiatrice per fare volantini; eravamo al servizio della causa, ma non da protagoniste. […]
Il primo carcere speciale femminile in cui sono stata si trovava a Messina, in Sicilia.[…] le condizioni erano molto diverse dalle altre carceri ed è stato un grande cambiamento per tutte noi: non potevamo avere un pettine, dovevamo sempre chiederlo; nel cortile doveva esserci un carceriere per ogni prigioniera, in caso contrario, non ti aprivano le porte. […] le condizioni erano molto diverse dalle altre carceri ed è stato un grande cambiamento per tutte noi: non potevamo avere un pettine, dovevamo sempre chiederlo; nel cortile doveva esserci un carceriere per ogni prigioniera, in caso contrario, non ti aprivano le porte. […] le condizioni erano molto diverse dalle altre carceri ed è stato un grande cambiamento per tutte noi: non potevamo avere un pettine, dovevamo sempre chiederlo; nel cortile doveva esserci un carceriere per ogni prigioniera, in caso contrario, non ti aprivano le porte. […] abbiamo trovato modi di organizzarci e comunicare che erano completamente al di fuori del controllo di chi ci sorvegliava.
Comunicavamo da cella a cella attraverso il tubo del bidet: in quel tubo ci siamo raccontate mezza vita e la prima volta che ci siamo incontrate è stato sei mesi dopo. Non ci eravamo mai viste in faccia ma conoscevamo già tutto l’una delle altre.
Fiabe resistenti. Racconti del Subcomandante Marcos
C’era una una volta, e c’è ancora un Chiapas ribelle. Nascosto ben in vista, potente come un silenzio, rumoroso come la pioggia sulla lamiera, persistente, resistente.
Era il 17 novembre del 1983 quando, da un nucleo guerrigliero classico di guevarista, nasceva l’EZLN (Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale).
Il Chiapas che abita queste fiabe è la memoria di chi le ha scritte, di chi ne è protagonista e ispiratore, è memoria di “altre” geografiche e latitudini, di pratiche e di resistenza e di cammini rivoluzionari, di uomini, donne, bambini, anziani che hanno cambiato la storia e le proprie vite.
Era l’alba del primo gennaio del 1994 quando migliaia di di indigeni, sotto il nome di EZLN, si alzarono in armi, dettando tredici rivendicazioni: lavoro, terra, casa, alimentazione, salute, educazione, indipendenza, libertà, democrazia, giustizia, pace, cultura e informazione.
C’era una volta il Caracol, la lumaca. Era il 2003.
Per i maya caracol è espressione d’un moto che avanza lento ma determinato, con andamento a spirale, e permette di comprendere il mondo attraverso l’ascolto. Così avanzano gli zapatisti.
Oggi ci sono circa trenta Municipi Autonomi Ribelli Zapatisti (Marez) disseminati per il Chiapas, divisi in cinque grandi regioni, ognuna delle quali possiede una sede dell’autogoverno e un centro di riunione culturale e politico (il Caracol).
Si dichiarano autonomi e ribelli e rispettano i sette principi del Buon Governo, la forma d’organizzazione sociale racchiusa nel mandar obedeciendo (comandare obbedendo):
servire e non servirsi, rappresentare e non soppiantare, costruire e non distruggere, obbedire e non comandare, proporre e non imporre, convincere e non vincere, scendere e non salire.
C’era una volta, e c’è ancora, una scuola senza voti, dove gli studenti apprendono e insegnano allo stesso tempo, dove l’educazione è concepita in maniera inclusiva, in differenti lingue, dove i genitori, promotores e alunni partecipano collettivamente, attraverso le assemblee, alla costruzione dell’autonomia, elaborando programmi e tempi della formazione “scolastica” in armonia con i cicli dell’agricoltura e della comunità.
C’erano, e ci sono, le cliniche autonome, dove un medico come promotore di salute, recupera saperi tradizionali e dove i farmaci sono l’ultimo rimedio per curare.
C’erano e ci sono le cooperative autogestite, i campi collettivi, le assemblee di zona, i corsi di formazione per migliorarsi, la solidarietà e il mutuo ascolto.
C’è una guerra, in Chiapas, che chiamano di bassa intensità, con l’esercito federale e i paramilitari che massacrano i contadini indigeni, per ripulire il territorio dalle sacche di resistenza che impediscono l’insediamento delle imprese multinazionali. C’è una guerra in cui gli zapatisti sfidando questi attacchi continui, resistono e affermano, con semplicità e impegno costante, un’esistenza piena di dignità e un posto nella storia.
C’era una volta l’Altra Campagna, era il 2006. Un percorso di insorgenza e resistenza che ha promosso l’agire collettivo d’una politica anticapitalistica, di una sinistra organizzata dal basso e lontana dai giochi elettorali, di una politica legata all’etica che rivendica l’esercizio pieno e quotidiano dei diritti, nel rispetto delle differenze politiche, sessuali e culturali.
C’è ancora La Sexta, nata dal silenzio provocatorio di decine di migliaia di zapatisti che il 21 dicembre del 2012 hanno occupato cinque capoluoghi chiapanenchi.
Oggi gli zapatisti aprono al mondo il loro cuore e le loro comunità e si fanno Votan, cuore-guida, nell’Escuelita zapatista, con semplice e potente concretezza.
Non si tratta di una causa solo chiapaneca o messicana: è un risveglio, una scossa, un appello all’urgenza di dire addio al capitalismo in un pianeta sull’orlo della catastrofe.
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