Nel 2012/2013 abbiamo avuto la fortuna di incontrare e conoscere la rivoluzione nei 3 cantoni del Kurdistan siriano. Le compagne e i compagni, che in più viaggi hanno portato la nostra solidarietà alla lotta in corso, hanno riportato tra di noi le idee che con passione motivano e muovono le donne e gli uomini in quella rivoluzione. Confrontandoci con queste esperienze abbiamo potuto riflettere con più attenzione rispetto agli ideali che ci muovono nella costruzione di un percorso rivoluzionario all’interno del
centro sociale: in particolare ci siamo riconosciuti sul concetto di comunità che è alla base della rivoluzione in Kurdistan così come è la base dell’esperienza del Gabrio. È la comunità infatti la chiave di volta della proposta politica dei curdi: il Confedaralismo democratico.
In contrapposizione al capitale, che si esprime con gli attuali stati nazione, i curdi propongono una rivoluzione basata su una confederazione di comunità che si autoregolano e autogovernano sulla base di 3 semplici principi: l’usufrutto (uso delle risorse in base alle esigenze), la complementarietà (mutualismo) ed il “minimo irriducibile” (il diritto di tutti al cibo, al riparo ed al vestiario).
Secondo il paradigma del confederalismo democratico, lo Stato-Nazione, così come si è configurato in termini di sviluppo storico, rappresenta la massima espressione della forma di potere monopolistico e di oppressione. Esso serve i processi capitalisti di sfruttamento dell’uomo sull’uomo, dell’uomo sulla donna e dell’uomo sulla natura. Il principio base del confederalismo è quella di una democrazia senza Stato, un sistema aperto a tutte e tutti e che fa delle diversità e delle differenze un elemento di arricchimento.
Lo stato nazione e la presa del potere vengono sostituti con l’idea di autonomia, che non riconosce i confini geografici.
Autonomia significa autogovernare. Inventare una forma di governo propria, cambiare le relazioni sociali esistenti, costruire un’alternativa concreta. Dal basso e in maniera collettiva. Governare senza bisogno di confini e stati.
Il modello organizzativo è quello di una federazione di autonomie in cui le comunità si autoregolano già oggi tramite la democrazia diretta, ovvero con assemblee aperte, libere e di base e non come la democrazia rappresentativa degli stati nazione, basata invece sulla gerarchia e un potere centrale.
La liberazione della donna è un pilastro del Confederalismo Democratco, con cui si cerca di creare una società libera dal sessismo, sia quello che proviene dalla tradizionale società patriarcale o dalle interpretazioni storiche, religiose sessiste, sia quello che dalla mercifcazione della donna per la modernità capitalista. Öcalan ha indicato nel sessismo uno dei pilastri ideologici dello Stato-nazione e tutte le ideologie del potere e dello stato derivano da attitudini e comportamenti sessisti.
Pertanto la libertà ed i diritti della donna sono una questione chiave nella lotta per la democrazia e per la libertà. “Formazione, educazione, interpretazione, critica e autocritica, la presa di coscienza della propria forza sono metodi e presupposti fondamentali per la liberazione delle donne e strumenti per lo smantellamento della mentalità patriarcale. La libertà delle donne per diventare reale deve partire dall’interno di ciascuna perchè senza percezione dell’importanza dell’identità interiore, non è possibile cambiare le condizioni materiali e sovvertirle. Le assemblee tra donne per confrontarsi e crescere insieme; la partecipazione a tutti gli ambiti della vita politica, sociale, amministrativa, con ruoli organizzativi è la traduzione in pratica di una vita libera dalla schiavitù maschilista.
Noi del centro sociale non possiamo non riconoscerci in questi principi, ed è proprio partendo dall’esperienze diretta, dall’analisi e dello studio (seppur parziale) di questo sistema, ci siamo resi conto di come anche all’interno di noi stessi riproponevamo quello stesso potere centralista e maschilista che in realtà vogliamo abbattere. Per questo vorremmo spingerci oltre, e costruire insieme alla comunità tutta nuovi spazi di autonomia.
La nostra intenzione non è quella di riproporre le proposte che arrivano da Kurdistan per trapiantarle nel nostro territorio, quanto piuttosto di farne una base di realtà su cui centrare la riflessione sulle nostre pratiche. Perché è proprio questo che ci ha colpito: vedere come donne e uomini kurdi praticando delle idee di libertà stanno conducendo una rivoluzione con successo.