Siamo in piazza Castello per ribadire che nessuno deve rimanere indietro a causa della pandemia. Per rivendicare reddito, salute e istruzione per tutti e tutte.
Nonostante l’impressionante dispositivo messo in campo dalla questura, manifestare rimane un diritto.
Se possiamo lavorare possiamo anche manifestare.
Di seguito il nostro comunicato sulla giornata di oggi.
Pandemia e riduzione del diritto salute
le responsabilità della politica e delle speculazioni
La scorsa primavera ci siamo ritrovate, nell’incapacità del servizio sanitario di far fronte alle cure delle persone malate di COVID19, a subire misure di contenimento che hanno inciso fortemente nelle già ampie differenze e discriminazioni che caratterizzano la nostra società.
Ci ritroviamo oggi ad affrontare nuove misure di contenimento imposte a livello governativo e locale che ancora una volta hanno un effetto devastante sulle categorie più precarie della società. Chi ha un lavoro in nero, chi ha un lavoro precario, chi è costretto a chiudere un’attività, chi non ha una casa o chi non può pagarla, chi è in stato di reclusione nelle carceri e nei CPR, chi vive in casa condizioni di violenza e oppressione, chi non ha disponibilità economiche per pagare una connessione internet per la didattica a distanza… ognuna di noi a seconda dei nostri privilegi subisce effetti fortemente diversi dalle misure di contenimento imposte come già denunciato all’inizio dell’epidemia in Italia.
Oggi, vogliamo continuare a denunciare le scelte politiche e il sistema economico e sociale che in questa fase ha dimostrato e continua a dimostrare in modo più evidente le sue storture, senza negare l’esistenza di una pandemia che mette a rischio le vite di migliaia di persone e che va affrontata da parte di tutt* con attenzione al benessere collettivo e alla tutela delle persone più fragili.
Partiamo dal diritto alla salute. La pandemia da COVID19 ha un effetto devastante sulla sanità italiana e sul diritto alla salute, non è stata e non è in grado di affrontare la pandemia e nel tentativo di farlo ha escluso dalla cure migliaia di persone che per mesi hanno visto ulteriormente ridotta l’accessibilità ai servizi sanitari.
Ricordiamo che lo stato attuale di impreparazione all’emergenza sanitaria è dovuto in larga parte alla riduzione volontaria e progressiva dell’investimento nella sanità pubblica degli ultimi 30/20 anni. A livello nazionale si è progressivamente ridotto l’investimento nella sanità che, negli ultimi 10 anni, è stato di ridotto di circa 37 miliardi in termini generali. La spesa in sanità rispetto al PIL è inferiore rispetto ai paesi del nord Europa (6,5% del PIL) e quella pro-capite è tra le più basse d’Europa. Il disinvestimento ha causato riduzione dei posti letto, riduzione del personale e precarizzazione del lavoro, favorendo l’accesso all’esternalizzazione dei servizi e alle partnership pubblico-private per gli investimenti.
Queste scelte politiche in termini di spesa e investimenti aveva già prima della pandemia ridotto il diritto alla salute, generando una riduzione dei servizi sanitari, un allungamento delle liste d’attesa e uno spostamento verso i servizi sanitari privati, ovviamente solo per chi se lo può permettere.
In questo contesto di contrazione dell’investimento pubblico e riduzione delle “spese” si è imposto prepotentemente l’accesso all’esternalizzazione dei servizi nelle strutture sanitarie. Le conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti sono le sempre peggiori condizioni di lavoro del personale in appalto laddove a garanzia del margine di profitto si riducono costantemente i costi del personale riducendo la retribuzione oraria o direttamente il numero di ore di lavoro a disposizione per svolgere la stessa funzione come è stato più volte denunciato dalle lavoratrici e dai lavoratori delle pulizie dell’ospedale Molinette.
A questo scenario si aggiunge lo spettro delle partnership pubblico private che a fronte dell’assunzione del costo di investimenti per nuove strutture da parte dei privati garantisce agli stessi la gestione, e quindi i profitti, a lungo termine per servizi correlati alla gestione della struttura. Il nuovo parco della salute di Torino si presenta in questo modo con promesse di eccellenza tecnologica e di cure altamente specializzate a scapito di un sistema di accesso alle cure più diffuso, accessibile e che investa sulla prevenzione.
Questa situazione, in Piemonte è anche legata alla gestione truffaldina dei fondi pubblici destinati alla sanità. Nel 2017 è infatti emerso come oltre 4 miliardi di euro destinati alla sanità sono stati utilizzati dalla Regione per altre spese. Il debito emerso e il conseguente piano di rientro concordato con il Ministero dell’economia e delle finanze ha portato alla ulteriore riduzione del personale, dismissione delle strutture minori, riduzione dei posti letto, allungamento delle liste d’attesa, riduzione delle prestazioni, aumento del ticket.
Negli ultimi anni stiamo asistendo infatti alla dismissione delle piccole strutture ospedaliere come l’ospedale Oftalmico e il Maria Adelaide a Torino, a una riduzione sistematica dei presidi sanitari diffusi come le guardie mediche (oggi chiamate Continuità Assistenziale che sono rimaste 3 sul territorio torinese), il congestionamento dei medici di base il cui numero rimane invariato da anni, il mancato investimento, o investimento insufficiente nei servizi assistenza territoriale domiciliare e degli interventi ospedalieri a domicilio che ridurrebbero gli accessi delle persone a rischio alle strutture ospedaliere.
L’attuale situazione sanitaria ha reso evidenti i limiti delle scelte politiche degli ultimi decenni in termini di salute pubblica e diritto alla salute che già da anni erano visibili e producevano effetti discriminatori sulla società.
Rivendichiamo quindi un ripensamento delle politiche sanitarie, una riduzione dell’ingerenza del privato nella sanità, un maggiore investimento sui servizi diffusi, a domicilio, territoriali e di prevenzione. Chiediamo accesso indiscriminato, libero, tempestivo e consapevole alle cure per tutte e tutti.
CSOA GABRIO