IL GIORNO DEL RICORDO, SÌ MA NON COME PARE A VOI
Dal 2004 ogni 10 febbraio si ripete una farsa pericolosa e intollerabile, quella che in nome della “memoria condivisa” celebra valori profondamente di parte, la parte mai risolta nella nostra cultura, solo storicamente vinta ma mai elaborata e superata: quella fascista.
Con un racconto storiografico falsato, intriso di ideologia nazionalista e revanscista, in una operazione bi-partisan tipica della presunta sinistra italiana del dopoguerra, dal 2004 questo giorno è servito a riabilitare, distribuendogli medaglie e onori, numerose figure del ventennio fascista, e a sdoganare un discorso politico inaccettabile che vuole, da un lato, descrivere i fascisti come povere vittime della violenza comunista, rimuovendone le atroci responsabilità nell’epoca dell’occupazione di quelle terre, e dall’altro annacquare la capacità critica di ogni analisi storica, e dunque la coscenza civile e politica che ne deriva, nell’attribuire responsabilità e qualità degli ideali che le diverse parti in guerra allora, e nel confronto politico oggi, propongono e portano avanti.
In nome di quella “memoria condivisa” si finisce per rimuovere la storia e ciò che ci insegna: i fascisti, ieri come oggi, vogliono un mondo dove comanda il sopruso, la sopraffazione, la regola della violenza, del potente, mentre chi gli si oppone vuole equità, giustizia, rispetto per la vita di tutte le persone.
Per questo rifiutiamo la retorica del Giorno del Ricordo, che per celebrare unicamente le vittime dei partigiani titini (e non solo) nega le morti per mano fascista e nazista (almeno 2500 civili slavi e italiani uccisi anche nei campi di prigionia come quello dell’isola di Arbe), consegnandoci una figura ripulita di “italiano brava gente” che vorrebbe neutralizzare anche la violenza inaccettabile dei fascisti di oggi, mentre li vediamo e sentiamo sempre più arroganti nelle nostre strade invocare l’ordine dell’identità, delle radici nazionali, del maschio bianco forte e dominante sulle persone che loro ritengono “deviate”, donne, soggettività LBGQT+ e migranti, tutte diverse da quella tradizione che blaterano di vedere minacciata.