Articolo pubblicato sulla rivista “Polvere” di marzo 09
La crisi c’è, e si sente, e pesa soprattutto sulle persone più deboli e ricattabili. Non è un caso se in questo periodo si senta parlare di migranti come “criminali”, “stupratori”, con un atteggiamento complice di media e politica che danno maggiore risalto ai crimini commessi da persone non italiane, come nel caso delle violenze sessuali, dove l’atto stesso di violenza e le sue vittime scivolano in secondo piano rispetto alla nazionalità. In coerenza con questa campagna allarmistica, le nuove norme in fatto di “sicurezza” tendono a trasformare il conflitto sociale in conflitto etnico, spostando l’attenzione dall’insicurezza economica e di vita che colpisce tutti e tutte in maniera trasversale. In questa operazione, le migranti subiscono una duplice violenza, in quanto donne e in quanto migranti allo stesso tempo, in una lettura solo maschile e distorta.
Ci si dimentica infatti, nei deliri razzisti e sicuritari, che molte sono le donne migranti, spesso a loro volta vittime di violenze che nella maggior parte dei casi non viene denunciata perché in situazioni maggiormente ricattabili: si pensi alle moltissime donne che lavorano nel campo della cura e dei lavori domestici, facile farle tacere e subire con il ricatto della perdita del posto di lavoro, o alle molte non regolari che non hanno la possibilità di esporsi.
Il lavoro domestico e di cura rappresenta uno dei principali canali di ingresso delle donne migranti nel mercato del lavoro, a discapito delle competenze e delle professionalità di molte donne che in Italia hanno l’unica prospettiva di diventare “badanti”, in un circolo vizioso in cui l’emancipazione dal lavoro di cura di molte donne italiane non passa attraverso una redistribuzione equa dei ruoli e dei lavori domestici tra uomo e donna, ma passa attraverso lo sfruttamento di un’altra donna più debole e ricattabile. In questi tipi di lavoro c’è molta difficoltà nel definire tempi di lavoro e mansioni, di individuare una differenza certa tra lavoro e non lavoro soprattutto laddove tra la lavoratrice e i suoi datori di lavoro s’instauri una relazione “familiare”, che però va a tutto vantaggio della famiglia dell’assistito e a scapito completamente delle relazioni e della vita della lavoratrice! Spesso questi lavori non vengono regolarizzati e ciò comporta il permanere nella clandestinità e nell’invisibilità, a causa del vincolo tra contratto di lavoro e permesso di soggiorno. Questo vincolo è causa inoltre di sfruttamento da parte di datori di lavoro ben consapevoli dell’importanza di un contratto di lavoro legato al rilascio del permesso di soggiorno.
In un clima in cui i diritti vengono sempre più erosi per tutte, le donne migranti sono le più colpite, in particolare per quanto riguarda il diritto fondamentale alla salute. È infatti difficile per una donna migrante (anche se in possesso di un regolare permesso di soggiorno) il percorso attraverso la sanità, e anche quei presidi che dovrebbero garantire la salute sessuale e riproduttiva di tutte le donne sono sempre meno funzionali ed accoglienti. I consultori -nati come luoghi di autodeterminazione delle donne- dichiarano di occuparsi solo più di gravidanze e contraccezione e non di salute e malattie veneree e manca spesso la parte di mediazione culturale, nonché una preparazione del personale sanitario ad accogliere persone provenienti da paesi con una concezione del corpo e della medicina differente da quella occidentale-bianca. Si arriva al paradosso per cui si fanno campagne nazionali contro le mutilazioni genitali femminili ma è difficile trovare una ginecologa in grado di visitare una donna che le abbia subite!. L’accesso all’interruzione volontaria di gravidanza e alla “pillola del giorno dopo”, che costituiscono tasselli di un diritto imprescindibile di autodeterminazione, è reso sempre più labile per tutte -native e migranti- a causa della massiccia presenza di personale obiettore di coscienza.È evidente come il provvedimento contenuto nel Pacchetto Sicurezza minaccerà ulteriormente questo diritto per le migranti senza permesso di soggiorno, andando ad incentivare il mercato parallelo degli aborti clandestini, effettuati a costi altissimi e con enormi rischi per la salute delle donne. Non solo, il provvedimento votato al Senato avrà anche l’effetto di allontanare le donne migranti senza permesso di soggiorno dalle strutture pubbliche (ospedali, consultori, ambulatori), costringendole a rinunciare a consulenze e informazioni preziose per la propria salute e alla contraccezione o all’assistenza alla gravidanza e al parto: difficilmente una donna accetterà di correre il rischio di essere segnalata e di compromettere per sempre il proprio progetto migratorio (che per molte inizia con l’irregolarità).
La situazione delle donne migranti arrivate in Italia con i loro bambini e bambine o in gravidanza cui è stato riconosciuto lo status di rifugiate, è spesso drammatica: donne determinate, mosse dal desiderio di dare una vita migliore ai/alle propri bimbi/e non solo non trovano sostegno ai loro progetti di autonomia e di ricomposizione del proprio nucleo affettivo, ma si ritrovano anzi spesso a difendersi dagli stessi servizi che dovrebbero tutelarle: l’unica risposta ai loro bisogni e desideri è la reclusione in comunità mamma-bambino. È la sorte di molte donne costrette ad accettare progetti preconfezionati dietro minaccia di perdere in caso di rifiuto la tutela dei/delle loro figli/e, in un sistema poco sensibile ai vissuti e più ligio alle pratiche burocratiche, che le considera un “problema scomodo” da risolvere alla svelta.
Proprio per tutti questi motivi, appare ancora più odiosa l’operazione mediatica di strumentalizzazione del tema della violenza contro le donne per giustificare decreti come quello “antistupri” o il “pacchetto sicurezza”, che apre discussioni in cui la donna anziché soggeto attivo diventa oggetto di discussione e contenzioso tra uomini, come se fosse molto più grave la violenza da parte di uno straniero piuttosto che la violenza autoctona, nascosta dietro le mura domestiche, come se non fosse altrettanto violenta la negazione della possibilità di costruirsi una vita autonoma e auto-determinare se stesse, il proprio corpo, il proprio futuro. Per questo è necessario che donne native e migranti costruiscano rapporti di solidarietà e svelino insieme l’alleanza tra sessismo e patriarcato, riprendendosi la parola e ribellandosi a chi le considera soggetto debole da tutelare o di cui disporre a piacimento!