Uscite allo scoperto, apritevi alla speranza
Massimo Borriello
film di Van Sant va a farsi voce e guida di una comunità, quella
omosessuale, ancora lontana dalla conquista di diritti fondamentali,
attraverso il canto di uno dei suoi eroi. Pur trattenendosi nel ricamo
visivo della pellicola, il regista rende comunque di notevole impatto
il narrato, assicurando grande importanza ad ogni singolo evento di cui
dà conto, della vita di Harvey Milk.
L’arte,
talvolta, ha bisogno di essere messa da parte. Succede quando il
messaggio che si vuole far passare esige chiarezza totale per
raggiungere il pubblico e diventare tesoro. Così un’opera può
svincolarsi dalle esigenze estetiche dell’occhio più fine, facendo
della semplicità un’arma vincente con la quale farsi strada nelle
sacche di conoscenza di ogni individuo. Ne sa qualcosa Gus Van Sant,
uno dei geni assoluti dell’universo cinema, un regista che negli ultimi
anni ci ha regalato le più potenti immagini di quella favola nera che è
l’adolescenza, e che oggi arresta per un attimo il suo brillante
processo di sperimentazione per raccontare una piccola e significativa
storia senza lasciare che il suo estro, la sua dirompente genialità,
occluda la narrazione e il significato di cui si fa portatrice. Perché Milk
di Van Sant va a farsi voce e guida di una comunità, quella
omosessuale, ancora lontana dalla conquista di diritti fondamentali,
attraverso il canto di uno dei suoi eroi. E’ naturale che l’argomento
stia particolarmente a cuore al regista che pur trattenendosi nel
ricamo visivo della pellicola, rende comunque di notevole impatto il
narrato, assicurando grande importanza ad ogni singolo evento di cui dà
conto, della vita di Harvey Milk, il primo politico gay dichiarato ad
essere stato eletto a una carica pubblica negli Stati Uniti, quella di
consigliere comunale nella vibrante San Francisco degli anni ’70.
La
figura di Milk è quella del condottiero, dell’ispiratore, che con le
sue ostinate e coraggiose battaglie politiche, che l’hanno portato
all’orribile morte avvenuta per omicidio nel 1978, è diventato icona di
un intero movimento. Van Sant sceglie di mettersi al suo servizio,
lascia che a parlare sia la sceneggiatura lineare, quasi scolastica,
scritta dal trentaquattrenne Dustin Lance Black
che ci racconta non solo dei traguardi di una vita, ma anche delle
rotte da essa segnate. Senza mai abbandonarsi al ricatto emotivo, tanto
che in certi passaggi si può addirittura avvertire una certa freddezza,
Milk si fa commovente quando rivela il messaggio più importante
dietro il racconto biografico: stringetevi nella speranza e continuate
a lottare. Se della meraviglia si può trovare nel film, è tutta nello
spirito di solidarietà che tiene insieme i personaggi, negli abbracci,
nell’aggregarsi per andare alla conquista un comune obiettivo: il
diritto all’esistenza, la possibilità di uscire allo scoperto senza
vergognarsi di sé stessi, senza il timore di venire schiacciati
dall’ignoranza altrui. L’amore che fa vibrare il film è una
resurrezione, ci restituisce quello spirito che tiene insieme gli
individui, quella fiducia che è essenziale riporre nell’altro per
ottenere il proprio riconoscimento. Trovandosi a maneggiare personalità
dal grande fascino, il regista può approfondire o limitarsi a
pennellare, con grande agilità, i personaggi, dotando ognuno di essi di
una dignità che si fa essa stessa significante.
Talvolta
ridondante nel suo sviluppo, il film di Van Sant ha la capacità di
ritagliarsi, oltre la ‘cosa pubblica’, dei momenti di grande tenerezza.
Milk è stato un personaggio che ha dovuto lottare per diventare
pubblico, compromettendo inevitabilmente il privato. Chi gli stava
accanto non ha retto, schiacciato dalla distanza del quotidiano, ma
Milk ha avuto la forza di non impantanarsi nella solitudine, andando
dritto per la sua strada, nel suo sogno di sconfiggere i pregiudizi che
spesso si cibano dei soliti, agghiaccianti deliri cattolici secondo i
quali le fiamme dell’inferno sono pronte ad ardere quella diversità che
mette in pericolo l’idea di Famiglia così cara alla Chiesa. Non serve
neppure esprimere un giudizio su certe idiozie, così il film invece di
schernire si limita a mostrare la realtà con vocazione
documentaristica, compresa quindi la sua degenerazione, diventando in
questo modo opera di ampio respiro piuttosto semplice da accogliere. Sean Penn
si cuce addosso il personaggio di Harvey Milk, lavora con grande
meticolosità sulla gestualità e sulla voce, sulla mimica facciale e
sulle urgenze che muovevano il personaggio-simbolo che è chiamato a
interpretare. L’attore californiano non si risparmia e si regala al
pubblico anche nei baci che è disposto a scambiarsi con un James Franco
mai così bravo, al quale basta uno scambio di sguardi nel finale per
riscattare un’intera carriera. Proprio quel finale ci abbaglia, con le
mille luci che si alzano al cielo, e le ultime parole di Milk che
diventano per lo spettatore un lungo brivido, una lacrima che muore per
creare nuova vita, una carezza calda nella quale accucciolarsi, un
invito che va colto, custodito, e condiviso. Uscire allo scoperto e
aprirsi alla speranza. ‘La speranza di una vita migliore, la
speranza di un domani migliore. Perché senza speranza la vita non vale
la pena di essere vissuta.‘
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