Ci troviamo oggi a commentare uno stupro avvenuto 6 anni fa nella sede della rete antifascista di Parma ad opera di militanti riconosciuti, senza che in questo lasso di tempo ci sia stata una riflessione seria nel movimento, che sapesse nominare la violenza, tutelare la ragazza e allontanare i responsabili.
Ci da fastidio farlo a ridosso di un processo, non ci piace il tempo scandito dai tribunali, ma dobbiamo prendere atto amaramente che se non fosse stato per le vicende giudiziarie e per il rilancio mediatico avvenuto 2 anni fa e ripreso in questi giorni, probabilmente in molti non ne saremmo neppure a conoscenza.
Ringraziamo chi con coraggio da dentro il movimento ha ripreso i fatti e ha messo nero su bianco quali siano state ancora, dopo lo stupro, dopo la strumentalizzazione della polizia, le ulteriori violenze, verbali, psicologiche e anche fisiche, che hanno ferito Debora e che arrivano da quell’ambito che non ha saputo condannare gli autori della violenza, bensì li ha fatti sentire tanto tranquilli da avere la spavalderia di filmare e diffondere con derisione lo stupro, per poi chiamare “infame” la vittima quando il video è finito nelle mani della polizia.
Sbirraglia, giudici e media come avvoltoi si nutrono di quanto non sappiamo affrontare, e non è responsabilità di chi ha subito violenza se oggi 3 “antifascisti” sono a processo per stupro. Indagare la condotta della donna o la sua qualità militante pur di non condannare quanto accaduto quella notte, attaccare lei pur di non ammettere che un gesto fascista ha avuto volti noti di “compagni”, è inaccettabile.
Ci stringiamo solidali a Debora, amaramente consapevoli che sia tardi, che quanto successo è irrimediabile, ma con la necessità di dirci che lo stupro è un atto fascista, sempre, e che chi lo agisce si pone al di fuori di quello che noi consideriamo “movimento”. Ci stringiamo strette/i a lei in un momento oltremodo difficile perchè sappiamo quanto sia duro affrontare un processo per stupro, dove si rischia che la vittima sia scandagliata e additata come colpevole, in un paradossale parallelismo di quanto già successo attorno a lei.
Ci auguriamo e ci impegniamo, almeno, a far si che la riflessione su questa vicenda aumenti la consapevolezza nei luoghi di movimento di quanto sia vuota la parola “antifascismo”, se non la riempiamo di contenuti e pratiche quotidiane, di relazioni paritarie e non paternaliste o soverchianti, di capacità di autocritica e messa in discussione di ciascuno/a e del collettivo.
Non possiamo che continuare, insieme ai collettivi femministi e antisessisti che ci attraversano e arricchiscono, a ricercare pratiche di liberazione personale e collettiva, perchè sia sempre viva la tensione a migliorarci, e a costruire spazi dove ciascuna e ciascuno possano sentirsi sicure/i e libere/i di esprimersi.
In questo senso, il percorso nazionale ed internazionale “non una di meno”, a cui abbiamo aderito, dev’essere stimolo continuo non semplicemente per denunciare la violenza sulle donne e il femminicidio in un’astratta società “altro da noi”, ma spunto costante per modificare una cultura in cui siamo immersi, a partire dagli spazi che frequentiamo, per arrivare a modificare la realtà.
CSOA Gabrio
Un post condivisibile su tutto, complimenti.
Se posso permettermi, alla ragazza è stato dato il nome fittizio di claudia.