Venerdì 22 aprile abbiamo concluso la biciclettata contro la guerra sotto il CPR di Torino per portare la nostra solidarietà alle persone detenute al suo interno. Questa volta la polizia non ha fatto in tempo a spostare e rinchiudere le persone all’interno, pratica utilizzata durante i presidi per impedire un contatto sonoro tra detenuti e solidali. Venerdì, invece, riecheggiavano forti le urla di sofferenza di chi, da dentro, rispondendo ai nostri saluti, denunciava lo stato pessimo del cibo che viene servito e i trattamenti disumani a cui vengono sottoposti. Sentire gridare “libertà libertà libertà” da dentro le mura ci ricorda che, festeggiare la liberazione dal nazifascismo, vuol dire lottare ogni giorno affinchè i Cpr vengano chiusi e le frontiere aperte, per un mondo liberato da razzismo e nazionalismi.
Di seguito l’intervento che abbiamo portato sotto le mura del Cpr:
“Concludiamo la biciclettata in questo punto che in tante e tanti conosciamo bene: il CPR di Torino. Un non luogo, collocato all’interno della città, in una zona tutt’altro che periferica ma che passa comunque inosservata, sotto l’indifferenza della maggior parte dei cittadini e residenti, inconsapevoli di cosa accade quotidianamente dietro quelle mura. Una frontiera dentro la frontiera: quella cittadina e quella rappresentata dal Cpr stesso, intrisa di razzismo e contraddizioni istituzionali. In una città come Torino, dichiaratamente “accogliente” e “democratica” la presenza di questo lager a cielo aperto è inaccettabile.
Fino a pochi mesi fa, le persone che oggi vengono considerate “i veri profughi” subivano o rischiavano di subire una detenzione caratterizzata da continue violenze.
Le poche notizie che riescono a superare le mura di questo lager riportano ancora una volta una situazione degradante per le persone recluse: il cibo che viene servito puzza e non risponde delle esigenze alimentari e culturali di ognunx, le strutture sono decadenti, sovraffollatte e sporche, le possibilità di comunicare con l’esterno restano difficoltose se non impossibili, il diritto alla salute è negato.
(Ce lo hanno ribadito forte e chiaro le urla che ci sono state rivolte dai detenuti al termine della biciclettata, in risposta alle nostre grida e ai nostri saluti.)
Non è chiudendo l‘ospedaletto, luogo assolutamente illecito dove morirono Faisal e Moussa, che si rende dignitoso un lager, tanto più se le motivazioni di chiusura non sono morali ma strutturali.
Da due mesi all’interno del Cpr è subentrata, al posto della francese Gepsa, che aveva causato non pochi problemi, ORS ITALIA, millantando la sua professionalità, qualità ed efficienza nel progetto di accoglienza ed integrazione ma in realtà lasciando completamente invariata la situazione all’interno della struttura: condizioni igienico-sanitarie precarie, prescrizione e abuso di psicofarmaci, cibo avariato. Insomma, cambia la gestione ma la situazione è la stessa e questo lo sapevamo bene. Le multinazionali sono li per lucrare e per farlo devono ridurre i costi, scaricando sui detenuti tutta l’inefficienza di un sistema marcio e da nascondere.
D’altronde, il CPR è una frontiera e come tale viene trattata dalle istituzioni; come un qualcosa di lontano e non visibile; e se invisibile è il luogo, diventano invisibili i/le reclusx; invisibili i loro bisogni ed invisibili i trattamenti violenti e brutali ai quali sono sottoposti ogni giorno.
Questo è esattamente ciò che accade non solo in strutture come i CPR ma anche, ad esempio, ai confini dell’Unione Europea dove Frontex, continua ad effettuare pushback illegali e aggressivi. Più volte sono stati documentati e denunciati i comportamenti e gli abusi della polizia europea di frontiera, ma nulla è cambiato. Frontex nelle sue operazioni di respingimento utilizza tecnologie all’avanguardia come rilevatori biometrici e droni, forniti dalle stesse aziende che oggi si stanno arricchendo enormemente con l’invio di armi e tecnologie militari in Ucraina. Ogni frontiera e ogni guerra in più per queste aziende significano solo più guadagno.
Oggi, il razzismo istituzionale mostra il suo vero volto: quello di chi distingue i profughi in base al colore della pelle, facendo una distinzione netta e neanche troppo celata tra “veri” e “finti” rifugiati, tra guerre di serie A e guerre di serie B. Le stesse guerre che i governi condannano ma che continuano a finanziare con l’invio di armi o semplicemente con il loro silenzio, come avviene per i casi della Siria del Nord o della Palestina, ad esempio.
Continueremo a venire sotto le mura del Cpr, per esprimere la nostra vicinanza e solidarietà ai detenuti e per ribadire che questo luogo non ha bisogno di miglioramenti perché per sua natura sarà sempre violento, segregativo e neutralizzante. I cpr li vogliamo chiusi definitivamente e vogliamo abolita la detenzione amministrativa.”
CHIUDERE TUTTI I CPR
LIBERARE TUTT*
Collettivo MaiPiùCPR_MaiPiùLager / Sportello il-legale Antirazzista