Solidarietà al Csoa Zapata e adesioni

 

Per adesioni: zapata@dirittinrete.org
Pubblichiamo l’appello del csoa Zapata sul grave episodio di violenza che li ha visti testimoni.

Domenica sera a Genova è successa una tragedia,
un giovane ragazzo cileno, Stefano Eduardo, è morto accoltellato, probabilmente
da un coetaneo nel quartiere di Sampierdarena. Il contesto in cui è maturata la tragedia è
ancora molto incerto.
Sicuramente domenica sera lo Zapata era chiuso,
verso le 20.00 un gruppo di 20/30 ragazzi latinoamericani ha fatto irruzione
nel centro sociale assalendo con coltelli, bottiglie e pietre una quindicina di
ragazzi che si trovavano al suo interno per un compleanno.
Cosa sia successo dopo non è ancora chiaro a
nessuno, quello che certamente sappiamo è che ancora una volta a Genova, è
morto un ragazzo e, in questo momento terribile, ci sentiamo innanzitutto
vicini al dolore della famiglia e degli amici.
Questa tragedia, in parte purtroppo annunciata,
è il frutto del completo abbandono da parte della città di Genova e delle sue
istituzioni e autorità di una generazione intera di giovani latinoamericani nel
ponente della nostra città.
Da quasi 4 anni lo Zapata è luogo di riferimento
di centinaia di giovani latinoamericani. Il percorso con le organizzazioni
della strada latine, quelle che questura e giornali chiamavano, e non hanno mai
smesso di chiamare,“baby gang”, è cominciato nel 2006.
In quell’anno, dopo un lungo periodo di scontri,
i 3 gruppi più numerosi decisero di cessare le ostilità, di uscire allo
scoperto, di dimostrare alla città che le loro organizzazioni erano invece una
via d’uscita dalla guerra fra poveri, una sorta di società di mutuo soccorso,
una risposta collettiva e solidale alla loro condizione di precarietà e
marginalità senza prospettive. In questi 4 anni assieme allo Zapata ed alle
organizzazioni della strada sono stati organizzati centinaia di eventi (tornei
di calcio, assemblee, incontri pubblici, feste, manifestazioni) sia a
Sampierdarena, sia in tutta Genova.

In questi anni, con poche forze, sono stati
costruiti progetti di partecipazione (musicali, sportivi, sociali, che hanno
portato alla nascita di gruppi musicali, di squadre di calcio, etc.), momenti
di confronto e di crescita collettiva, coinvolgendo le scuole, l’università, i
servizi sociali, il sert, il consultorio, il teatro Modena, i CIV, qualche
assessore, etc.
Abbiamo sempre inteso il percorso con i ragazzi
sudamericani all’insegna della fine di ogni violenza cieca e inutile,
concretizzando nel quotidiano, allo Zapata e in tutta la città, quel percorso
di pace siglato alla Sala Chiamata del Porto di Genova nel Giugno del 2006.
Alla luce di questo, non possiamo che prendere
le distanze da quanto accaduto e ribadire quanto andiamo dicendo da anni,
perché non è mai accettabile perdere la vita a 17 anni in questa maniera: chi
risolve le proprie liti con un coltello non è più “fiero” o coraggioso, ma anzi
è più vile e codardo.
A chiunque speculerà su questa tragedia per
chiedere sgomberi o interventi repressivi che interrompano un percorso di
autogestione, socialità, lotta e integrazione, che dura da sedici anni,
rispondiamo che rivendicheremo e difenderemo sempre il progetto finora compiuto.
Tutto questo lavoro è stato fatto, a parte la
rete di soggetti intelligenti e coraggiosi che sopra citavamo, nel deserto più
assoluto.
Da parte delle istituzioni cittadine sono
arrivate sostanzialmente solo qualche pacca sulle spalle, il finanziamento di
qualche piccolo progetto e molte promesse mai mantenute.
Ma cosa molto più grave è che le stesse
istituzioni cittadine non abbiano dato alcuna attenzione né tanto meno risposte
a chi, migrante o italiano che sia, vive e lavora nei quartieri del ponente genovese.
Invece di cogliere il problema sollevato, di
investire risorse ed energie su di esso e di aiutare chi lavorava e lavora (non
solo noi per fortuna) per inventare alternative e renderle praticabili ad un
numero di ragazzi e ragazze sempre maggiore, Genova è rimasta alla finestra,
contenta che qualcuno si occupasse del problema e mugugnosa rispetto alle
chances di successo di questo percorso.

Non si può più stare alla finestra e la tragica
morte di Stefano è solo la più terribile delle dimostrazioni.
La lega e l’assessore Scidone vorrebbero
risolvere il problema riempiendo Sampierdarena di telecamere, di ronde e di
alpini, noi pensiamo che non servirebbero a nulla, che chi vuole si
accoltellerebbe lo stesso, che i cittadini non si sentirebbero più sicuri ma
solo più controllati.
Pensiamo che sia invece necessario uscire una
volta per tutte dalle ambiguità, investire su una nuova stagione che veda il
ponente genovese (territorio che da sempre ha richiamato uomini e donne di
altri luoghi, persone che venivano a lavorare nelle sue grandi fabbriche o nel
porto e che ora lavorano nell’edilizia o assistendo anziani) rivendicare la sua
natura meticcia, farne un elemento di forza e di orgoglio come è stato in
passato.
Invece di spendere miliardi di euro nella gronda
di ponente o di pensare a ronde, alpini e telecamere il comune dovrebbe pensare
allo stato di vivibilità dei suoi quartieri, investire su percorsi di
partecipazione, costruire spazi e servizi per italiani e migranti, costruire
spazi verdi, finanziare chi lavora dal basso nei quartieri, dare possibilità di
studio e lavoro.
Noi, con tutte le nostre forze, continueremo a
costruire, giorno dopo giorno, progetti dal basso, di partecipazione ed
autogestione, di lotta politica per uscire dallo scontro fra poveri… Genova
dovrà scegliere se è ancora accettabile stare alla finestra.

Per adesioni: zapata@dirittinrete.org

Csoa Zapata