Prima di entrare nel merito delle ragioni del nostro No alla riforma costituzionale è bene fare una premessa. Non guardiamo alla Costituzione come qualcosa di intoccabile, né ci appassiona discutere se questo parlamento abbia o meno la legittimità di modificarla. Pensiamo anzi che sia necessario cambiare molte cose, ma la direzione verso cui va la nostra proposta è totalmente opposta rispetto al disegno che sta dietro a questa riforma.
Materialisticamente guardiamo al diritto, e quindi alle costituzioni, come il risultato di uno scontro tra forze (una volta si sarebbe detto una lotta di classe), che da 70 anni vede prevalere gli interessi del grande capitale a scapito di quelli delle classi subalterne.
Ci sembra evidente che il no alla riforma sia un no alle politiche neo-liberali che questo governo, sulla spinta di un’Europa sempre più dominata dalla finanza, ha realizzato nell’ultimo biennio: alla precarizzazione del lavoro, ai tagli al welfare, alla distruzione della scuola pubblica. Vogliamo però evitare di schiacciare la critica alla “Renzi-Boschi” su un piano di critica al governo, per evitare il vuoto che si creerebbe dopo il risultato delle urne, qualsiasi esso sia.
Il rischio tuttavia c’è, perché questa riforma è quasi completamente priva di contenuto: non fa che prendere atto cioè dello stato di cose attuali. Due esempi per chiarire:
- La riforma del Titolo V – Rapporto Stato Regioni: da una parte si riducono gli ambiti di intervento delle Regioni a favore di quello che alcuni commentatori hanno definito un “neo-centralismo esecutivo”; dall’altra si introduce la “clausola di supremazia”, in base alla quale la legge statale può intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva. Questa tendenza all’accentramento del potere non solo era già emersa ma è già stata riconosciuta e avallata dalla Corte Costituzionale che, attraverso una serie di sentenze, ha già modificato e ridotto le competenze regionali, e ha già riconosciuto, in forza del principio di sussidiarietà, il potere dello Stato di intervenire anche in materie di competenza esclusiva delle regioni. L’intervento della Corte Costituzionale dunque ha già formalizzato nel nostro ordinamento uno spostamento del potere legislativo dalle autonomie regionali al governo centrale;
- La corsia preferenziale per le proposte di legge di governo, da molti vista come un modo per l’esecutivo di prendere in ostaggio il parlamento, non è altro che una regolamentazione della decretazione d’urgenza, già largamente usata e abusata da decenni dai governi italiani, e con particolare vigore da questo governo, senza incontrare alcuno ostacolo.
Se questo disegno di riforma è privo di contenuto, non è però privo di un significato: togliere terreno alle istanze di autonomia e autogoverno e spostare il potere dalle periferie al centro e dai cittadini ai partiti.
Questo è particolarmente evidente nella parabola della riforma al Senato, che, ci viene raccontato, avrebbe portato ad una camera delle autonomie, ma che in realtà lo trasforma in un organo svuotato di qualsiasi autorità, oltre che totalmente inefficace: composto da membri, scelti dai partiti politici, che dovranno svolgere un doppio lavoro (non pagato), diventerà il non-luogo dove parcheggiare chi ha poco spazio in Regione. Se a questo si aggiunge l’immunità di cui godranno i suoi componenti ecco che il quadro che si prospetta non è roseo.
Proprio qui, nello scontro tra centro e periferia, si apre la nostra proposta, per una diffusione del potere nei territori, per un autogoverno e una democrazia partecipata di segno opposto al modello di democrazia tecnocratica che ci propongono come unico possibile.
Ben sapendo che la sfida è molto alta, crediamo però che non sia affatto impossibile, come dimostrano la rivoluzione Zapatista in Chiapas, il confederalismo democratico del Rojava o, senza fare troppi chilometri, la lotta della Val di Susa, dove l’opposizione ad una grande opera calata dall’alto ha portato alla creazione di un corpo sociale in grado di esprimere altissimi livelli di democrazia dal basso e di autogoverno.
In queste esperienze non vogliamo trovare modelli da applicare, ma esempi concreti: l’alternativa è possibile. Con questa direzione in mente, anche Zona San Paolo dice NO.
CSOA Gabrio
Martedì 15 Novembre 2016 – Ore 21 @ Via Moretta 55
LE RAGIONI DEL NO – Incontro con Alessandra Algostino (docente in diritto costituzionale comparato presso l’Università di Torino)