Ancora una volta ci troviamo a parlare di celle affollate, di cure mediche non fornite ai detenuti, di reclusi maltrattati e abbandonati al freddo.
I problemi legati al freddo sono una costante nei lunghi inverni del Deportation Camp di corso Brunelleschi.
Chi viene recluso ha con se pochi indumenti, perlopiù inadatti alle temperature invernali e Gepsa, l’ente che si occupa di “fornire i servivi” alle persone recluse nel CPR di Torino, si guarda bene dal fornire sufficienti ricambi.
D’altronde, Gepsa è sempre rimasta coerente con il suo obiettivo, fare cassa sulla vita delle persone detenute.
Ci chiediamo perché, dopo le polemiche a seguito della morte di Faisal Husseini, alcuni dottori si siano prestati volontariamente al gioco del monitoraggio sanitario all’interno del Cpr, per poi diventare essi stessi i protagonisti di quanto sta accadendo da mesi all’interno della struttura detentiva dal punto di vista medico.
Ci chiediamo perché un medico come Donegani, noto per aver svolto la sua professione in situazioni disperate, persona legata ad associazioni umanitarie che fanno da capofila quando si tratta di diritti dei e delle migranti, ad oggi sia ufficialmente assunto dal Cpr e svolga il suo mestiere come fosse in una zona di guerra e non in un paese in cui tutti e tutte, sulla carta, dovrebbero avere accesso alla sanità pubblica ed alle cure necessarie.
Le voci, che con grande difficoltà riescono a superare quelle mura, lamentano l’assenza di cure mediche, denunciano il lassismo dei medici incaricati e l’indifferenza di tutto il personale gestionale e poliziesco, nei confronti di casi gravi, se non gravissimi.
La continuità con la precedente gestione sanitaria è evidente, nonostante questo cambio di passo sia nato almeno a parole con i migliori propositi.
Risultati alla mano, è quanto mai evidente che umanizzare una struttura come il Cpr non rientri nel campo non sia possibile ne tantomeno accettabile.
L’unica opzione di cambiamento reale per una struttura detentiva come il Centro per il rimpatrio, è la sua totale e definitiva chiusura.
Sono ormai decine le testimonianze raccolte da avvocati/e e reclusi/e che dipingono un quadro inquietante.
Dal rifiuto sistematico di cure e tamponi, a detenzioni autorizzate nonostante arti rotti o problemi psichici evidenti, arrivando anche ad operazioni chirurgiche svolte all’interno del Cpr, anziché in una sala operatoria di un ospedale, proprio come avviene in una zona di guerra.
Le condizioni a cui sono relegati i detenuti e le detenute nei Cpr, così come la stessa esistenza di questi lager, dimostrano chiaramente, ancora una volta, il razzismo delle politiche sull’immigrazione.
A partire dalle leggi sull’immigrazione, passando per la sfiancante burocrazia legata al rinnovo e richiesta dei permessi di soggiorno, arrivando alle strutture detentive come i Cpr o di identificazione e smistamento come gli hotspot, le istituzioni italiane ed europee ci dimostrano che l’unico vero obiettivo delle loro politiche è reprimere la libertà di movimento, costi quel che costi, in linea con le volontà dei partiti xenofobi e razzisti.
Per la chiusura dei CPR.
Per la liberazione dei reclusi e delle recluse.
Per la libertà di movimento per tutti e tutte.
Per il diritto all’autodeterminazione dei e delle migranti.
Libertà per tutti e tutte.
Presidio davanti alle mura del CPR di Torino, Corso Brunelleschi.
Sabato 20 febbraio ore 15.
Mai più Cpr, Mai più Lager!