I CPR (Centro di Permanenza per il Rimpatrio, un tempo noti come CPT, poi CIE) sono stati istituiti nel 1998 dalla legge Turco-Napolitano e poi riformati dalla Bossi-Fini. Sono strutture dove vengono reclusi migranti in attesa di rimpatrio coatto sulla base di un semplice atto amministrativo, esclusivamente perché “irregolari”.
Da anni vengono denunciate da diverse associazioni e collettivi territoriali, nazionali ed internazionali le condizioni delle persone migranti trattenute che non godono neanche di diritti minimi
Già nel 2009 veniva evidenziata la mancanza di una cartella clinica e dell’anamnesi all’ingresso; gli ambulatori risultavano sporchi, privi di carrello per le emergenze, poco forniti di farmaci, dei quali quasi tutti psicofarmaci. Inoltre veniva segnalata difficoltà nel chiamare il personale in caso di malessere.
E’ quello che è avvenuto nel 2008, nel CPR di Torino, a Fatih Manai, un giovane nordafricano, morto senza che nessuno sia andato in suo soccorso, nonostante le grida provenienti anche dagli altri reclusi. Stessa triste sorte è toccata a Faisal, l’8 luglio del 2019.
A maggio 2021 Moussa Balde, dopo essere stato vittima di un violento pestaggio solo qualche settimana prima a Ventimiglia, viene ricoverato all’ospedale di Bordighera ma una volta dimesso, invece di proseguire le cure, trasferito nel CPR di Torino e messo in isolamento, due giorni dopo si toglie la vita annodandosi un lenzuolo al collo.
Il personale medico dipendente non copre che un’esigua fascia oraria, non vi è la possibilità da parte dei reclusi e nemmeno dei loro avvocati di far entrare un medico di fiducia o uno specialista o di ottenere una visita presso un ambulatorio ASL; gli invii al Pronto Soccorso sono rari e sono a totale discrezione del personale.
La gestione attuale è affidata, senza alcuna trasparenza, ad un ente privato (GEPSA) in accordo con la prefettura e gli aspetti sanitari sono curati da medici dipendenti da GEPSA stesso.
L’ordine dei medici, che da qualche mese ha stipulato un accordo per l’accesso di personale medico aggiuntivo all’interno della struttura, è rimasto in silenzio di fronte a questa ennesima morte.
Questo accordo, che richiede ai medici di intervenire su base volontaria, è inaccettabile e serve solo a ripulire la coscienza di qualche dirigente sanitario.
L’impossibilità di tutelare il diritto alla salute in queste strutture non è che un altro tassello che rinforza la necessità di chiudere tutti i CPR immediatamente.
Facciamo crollare il muro di silenzio che avvolge i CPR.
Le responsabilità di polizia, ente gestore e ordine dei medici sono evidenti.
Chiudere tutti i CPR subito.