Il recente sgombero della palazzina di via Collegno 37, occupata da poco più di una decina di famiglie sfrattate ributtate in strada da una solerte operazione di polizia, pone l’accento, per la sua genesi, su una serie di questioni.
In casi del genere vengono chiamati in causa una serie di attori con funzioni, di solito, ben precise: ovviamente la proprietà, che richiede l’intervento, Questura, Magistratura, Prefettura e Comune. Ebbene, il primo dato che salta all’occhio e che quest’ultimo, pur dovendo in teoria occuparsi della parte sociale e politica della questione, non viene preso in considerazione e non prende nemmeno in considerazione la possibilità di intervenire incisivamente o di far sentire la propria opinione.
Se prendiamo infatti, per buone le dichiarazione dei vari assessori (in primis Giuliana Tedesco, Assessore alle società partecipate e alla polizia municipale), il Comune sarebbe stato informato dello sgombero solo la sera prima. Quindi, pur sapendo che il peso di una nuova sistemazione sarebbe stata a carico del Comune stesso, questi non ha cercato di far posticipare il tutto per organizzarsi ma ha lasciato agire gli altri attori che, comunque ed è bene ricordarlo, avvertono il Comune solo pro forma, decidendo in autonomia. Un bel cortocircuito.
D’altronde appare chiaro come ormai la questione sfratti e diritto all’abitare, lungi da essere un problema di ordine sociale, è diventato un problema di ordine pubblico. Dietro l’occupazione di uno stabile abbandonato da tempo, non sta più il dramma dell’avere perso casa ma solo un atto da sanzionare.
Se da un lato Questura e Magistratura sono state investite in pieno della responsabilità di gestire (evidentemente a modo loro) la questione casa, dall’altro quell’elemento di mediazione che è caratteristica dell’azione politica dell’istituzioni è completamente saltato. Il Comune ha ormai rinunciato al suo ruolo, tanto è vero che all’atto di una azione che mette per strada circa 50 persone non viene (o non viene per tempo) consultato. Addirittura si arriva al paradosso che la proposte del Comune di sistemazione provvisoria per le famiglie (pochi giorni in una palestra della Protezione Civile adibita a luogo di accoglienza in caso di calamità naturali) venga fatta dalla polizia, vista la totale assenza di funzionari o assistenti del Comune. A mo’ di battuta un poliziotto riesce a dire una cosa come dovremmo essere pagati di più visto che facciamo assistenza sociale. Più delega di così…Poi è ovvio che qualche assessore, in maniere informale, durante le trattative seguenti l’occupazione della Circoscrizione 3, si lasci scappare quello che tutti sanno non si doveva agire in questo modo…decisa ammissione di impotenza e di incapacità istituzionale nei confronti di chi è avvezzo solo a soluzioni muscolari.
Assume quindi i contorni della farsa la proposta di ospitare le famiglie sgomberate per pochi giorni in una palestra. Situazione più consona per terremoti o alluvioni ma che da il polso del come il Comune intenda la questione casa, come una calamità da affrontare in fase emergenziale e non come dato costante nella Torino ancora sotto l’artiglio della crisi (con gli sfratti per morosità che aumentano di anno in anno). Una proposta che, come un disco rotto, è stata fatta da tutti gli assessori che si sono presentati alle famiglie, in una povertà di prospettiva giocata sulla pelle di uomini, donne e bambini. Nella speranza di ottenere qualcosa di più, e “consigliati” da solerti funzionari digos che li hanno avvicinati una volta usciti dalla circoscrizione per dirgli non state con quelli del Gabrio, c’avete pure bambini piccoli…, due famiglie hanno accettato la proposta della palestra: a loro ovviamente non si può che augurare ogni bene, anche se l’esperienza purtroppo porta a dire che le promesse poi rimangono tali. Per le altre famiglie rimandare al mittente le proposte emergenziali, compreso il fatto che ogni caso andava analizzato singolarmente, è stato un atto naturale frutto della solidarietà di giorni passati insieme e consapevoli che le risposte devono valere collettivamente. Tutti loro hanno bisogno di una casa.
Qualche altro elemento di riflessione lo possiamo ricavare da alcune battute fatte da poliziotti durante la fase dello sgombero. Frasi come avete puntato troppo in alto riferito al quartiere dove sorge la palazzina o bisognava evitare un nuovo ex Moi riferito agli occupanti in prevalenza stranieri fanno emergere che idee dell’occupazione si sono fatti coloro che hanno provveduto allo sgombero. Può essere infatti apparsa come una provocazione l’avere occupato un palazzo (abbandonato da più di 10 anni) in una zona sicuramente chic di Torino, vicino al Tribunale. Sicuramente non lo è stato per le decine di persone del quartiere che nei giorni trascorsi in via Collegno hanno portato una solidarietà attiva donando cibo, materassi, vestiti, giocattoli o solo un po’ di tempo per chiacchierare con le persone. E che sicuramente avevano chiara la composizione dei nuclei familiari, molto più di chi ha stilato le veline per la Questura o la Magistratura.
Insomma, è probabile che un po’ di classismo e un po’ di razzismo abbiano alimentato la voglia di interrompere questa esperienza. Sicuramente per qualcuno era necessario intervenire per evitare chissà quale forma di degrado. Per costoro non è degradante un palazzo vuoto e abbandonato da anni ma un palazzo che torna a vivere con una composizione sociale differente dalla media che la circonda. Sfrattati e stranieri devono stare nei loro ghetti, così tutto manterrà il proprio ordine duraturo…
Un’ultima considerazione riguarda la pratica ormai consolidata che segue uno sgombero: rendere la palazzina inagibile, distruggendo sanitari e infissi, devastando quegli alloggi che, invece, avevano trovato nuove cure anche se solo per pochi giorni. Devastazione quindi paradossale, perché fatta da coloro che volevano riottenere il palazzo ma con un unico scopo: rendere impossibile un nuova occupazione.
Allora è chiaro che il fine ultimo di uno sgombero non è tanto far ritornare l’immobile nelle disponibilità di una proprietà (che comunque per più di 10 anni ha mostrato disinteresse) ma impedire che qualcuno lo riutilizzi. È preferibile “liberarlo” ma lasciandolo a pezzi che rischiara un nuovo intervento.
Riprova che per proprietari, poliziotti, magistrati, assessori, tra una occupazione e 50 persone per strada si preferisca sempre la seconda opzione.
Le cose valgono più di donne, uomini e bambini, tipico di chi è senza cuore.
“Stop sgomberi, la rabbia dilaga” c’era scritto sullo striscione appeso fuori dalla Circoscrizione 3 durante le 24 ore di occupazione. E’ proprio così.
Le vostre azioni, lo sgombero, i cessi spaccati, le prese in giro, il giocare con la vita delle persone, la mancanza di rispetto, le non-risposte alle necessità di bambini, donne e uomini, hanno consolidato definitivamente l’assenza di fiducia nelle istituzioni che queste persone covavano dentro già da anni.
Anni passati tra soluzioni tampone (alberghi, comunità, social housing…) e violenza istituzionale. Ancora non è finita…la rabbia dilaga!
Stay Tuned…