“In fondo, quei disgraziati han tutto da guadagnare. Perdono la libertà, è vero,
ma in cambio trovano il conforto della nostra religione,
diventano nostri schiavi, ma anche nostri fratelli”.
Dario Fo – Isabella, tre caravelle e un cacciaballe
Tra lunedì e martedì è stato portato a termine lo svuotamento dei garage delle palazzine del villaggio olimpico, il MOI, dove circa 90 persone vivevano e lavoravano, oggi spostate in alcune strutture nelle disponibilità della Curia e della Prefettura di Torino
Si è trattato di fatto di un banco di prova generale per il progetto di sgombero soft delle palazzine occupate (Migranti: un’Opportunità di Inclusione, questo l’acronimo del progetto) portato avanti da Fondazione San Paolo su mandato di un tavolo inter-istituzionale cittadino; un progetto di ricollocamento delle persone che in questi primi due giorni ha già dimostrato di non avere gambe solide.
E’ stato chiaro che, belle parole a parte, la faccia pacifica, democratica e non violenta è una maschera fragile, che rapidamente cade quando le cose non vanno come pianificato. Nessuno degli attori coinvolti nell’attuazione del progetto probabilmente aveva neppure considerato che qualcuno rifiutasse di accettare una carità così generosamente offerta.
Quando questo è successo, e 5-6 persone hanno deciso di restare, il piccolo incidente ha messo a dura prova la pazienza e le idee dei membri del “progetto MOI”, obbligandoli a mettere in campo ricatti (“se non uscite, devono tornare indietro anche tutti gli altri”), minacce (celere schierata in assetto antisommossa), promesse non mantenute, e dimostrando così in maniera evidente a tutti da che parte stanno: quella degli speculatori contro la vita delle persone.
Il progetto d’altronde si propone con chiarezza di dare vita ad un “terza accoglienza” nei fatti destinata a seguire le strade nella maggior parte dei casi rovinose della prima e della seconda. Un progetto che è costruito con un mix letale di paternalismo e colonialismo, che propaganda l’autonomia delle persone come obiettivo, ma che a conti fatti offre ben poche prospettive, per la maggior parte precarie (gli inserimenti lavorativi ed abitativi avranno durata di 6 mesi/1 anno), e che attacca frontalmente l’unica autonomia che chi occupa al MOI ha raggiunto, quella cioè di avere un tetto sopra la testa conquistato con le proprie forze e la propria auto-organizzazione.
In generale possiamo dire che con questo progetto subisce una trasformazione anche il partenariato pubblico/privato nel welfare cittadino. Attori del privato sociale e della cooperazione sono chiamati a svolgere ruoli attivi in processi di ridefinizione urbana, di spazi e modalità di vita di gruppi di persone in eccedenza rispetto alla città che gli attori istituzionali e soprattutto quelli economici vogliono disegnare.
Da anni denunciamo come tanti soggetti del privato sociale rischiano livelli di compromissione e complicità con le politiche odiose di chi governa la nostra città: oggi vediamo anche qualcosa in più, perché è chiaro il passaggio da complici a responsabili, di uno sgombero, di un nuovo business mascherato da progetti di accoglienza, di una futura ennesima speculazione sulle palazzine del MOI, di calpestare diritti e dignità delle persone.
Malgrado tutti i protagonisti, ed in primis la sindaca Appendino, abbiano rivendicato come un successo lo svuotamento dei garage e la restituzione ai “legittimi proprietari”, a noi sembra di leggere un’altra storia: gli occupanti dell’ex Villaggio Olimpico sono in grado di distinguere tra sgombero e “Opportunità di Integrazione”, e non si faranno prendere in giro così facilmente.
La resistenza di poche persone, un granello di sabbia, ha inceppato l’enorme meccanismo da 6 milioni di euro del progetto per due giorni interi, obbligando infine la Questura a sostituirsi nella mediazione con gli occupanti all’equipe del progetto e ad un Project Manager ormai senza credibilità e fradicio dalla testa ai piedi.
Questura e Prefettura hanno letteralmente fatto carte false per poter finalmente ottenere la liberazione dei garage, concedendo di iniziare un nuovo percorso di richiesta di protezione internazionale alle persone che si trovavano in condizione di doppio diniego. Una soluzione evidentemente già contemplata e decisa dai funzionari del Ministero dell’Interno come extrema ratio per portare a casa quello che doveva essere l’avvio trionfale del progetto.
Se sono dovuti arrivare a tanto per sgomberare la soluzione abitativa più precaria e meno dignitosa all’interno del MOI, crediamo che lo sgombero delle palazzine sarà molto più lungo e complicato del previsto.
CSOA Gabrio