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L’assistenza a tempo determinato per gli immigrati comunitari

Il Servizio Adulti in Difficoltà (S.A.D.) del Comune di Torino a fine maggio ha fatto pervenire alle case di ospitalità notturna una circolare contenente le nuove disposizioni in materia di accoglienza riguardo agli stranieri comunitari, operative, in forma sperimentale, a partire dal 1° giugno 2008.
Gli ospiti, la cui nazionalità è inclusa in un elenco comprendente gli stati membri e quelli equiparati, sono tenuti alla compilazione di un atto sostitutivo di notorietà in cui dichiarano di avvalersi del servizio, per la prima volta dopo la data di entrata in vigore e garantendosi l’accesso al sistema delle liste di attesa per un periodo massimo di 3 mesi. Tale limite verrà notificato dagli operatori in turno apponendo una data di scadenza su tale documento, redatto in duplice copia, una in lingua italiana da inviare al S.A.D., l’altra in lingua rumena da consegnare all’interessato.
Non sono state fornite al momento traduzioni in altre lingue.
Il ridotto periodo di ospitalità è prorogabile o revocabile a discrezione dell’ufficio competente in base alla singola analisi dei casi; studio già parzialmente redatto e dal quale emerge una lista di poco più di una decina di soggetti recanti problematiche sanitarie degne di nota e che pertanto al termine del periodo individuato di tre mesi potranno essere accolti nei soli posti di emergenza riservati alle persone in stato di grave disagio.


Tale elenco è ovviamente passibile di defezioni ed incrementi del numero di soggetti inseriti.
Gli altri comunitari richiedenti ospitalità verranno inseriti in una ulteriore lista a disposizione delle case e del S.A.D.
Le motivazioni cui si fa riferimento per chiarire il ricorso alle nuove norme fa cenno al progressivo aumento delle richieste di ospitalità giunte da persone provenienti, in particolare, dall’Est Europeo, nonché all’esigenza di tutelare soggetti in condizione di estrema marginalità a scapito di altri in possesso di discrete abilità personali.
Gli operatori vengono inoltre invitati a sviluppare forme comunicative idonee al recepimento delle direttive unite a strategie anche di controllo al fine di prevenire chi utilizza le limitate risorse a disposizione per assecondare i propri progetti di vita personale e familiare a scapito dei più fragili.

Come operatori, dopo attento dibattito, ci sentiamo in dovere di muovere una serie di critiche alla circolare in oggetto sottolineando la distanza che ci separa da logiche che riteniamo nemiche dell’etica professionale del lavoro sociale.

Un lavoro di bassa soglia sottende l’obbligo di interventi connotati da una effettiva vicinanza all’utenza; caratterizzazione nettamente contrapposta a norme che regolano gli accessi effettuando una generica e pericolosa discriminazione sulla base dell’area di provenienza.
Il lavoro sociale, è per sua stessa natura, votato alla realizzazione di una piena inclusione degli individui attraverso l’utilizzo delle risorse a disposizione, nonché all’individuazione tanto di differenti logiche di impiego delle stesse, quanto di nuove, qualora quelle esistenti non siano in grado di soddisfarne la richiesta.
Inoltre, non appare illecito che soggetti i quali utilizzano le strutture per tentare di raggiungere obiettivi personali, peraltro comuni a quasi tutti gli esseri umani e cioè progetti familiari e/o lavorativi, trovandosi senza una dimora e la disponibilità economica sufficiente a garantirla, si rivolgano alle case di ospitalità notturna.
Si crede che debba essere supportato non solo chi si trova in condizioni di estrema marginalità, ma anche chi è in possesso di un adeguato potenziale personale, pur se momentaneamente non in condizione di garantirsi l’accesso ad una casa e ad un lavoro dotato di un certo grado di stabilità.
Il livello di assistenza assicurato dalle strutture notturne appare già minimo, al di sotto del quale non risulta possibile concepire un’esistenza cui uno stato di diritto dovrebbe poter garantire e che non si avvicina ancora a concetti di esistenza degna.
Posto che il lavoro di bassa soglia si fa carico anche della limitazione dei costi sociali, negando l’accesso ad una parte della popolazione homeless, non se ne ridurrebbero, chiaramente, né l’entità né gli effetti.

Attribuire ad un immigrato senza una fissa dimora delle supposte capacità personali che gli permettono di ottenere una situazione abitativa e lavorativa in soli tre mesi, denota una limitata visione d’insieme della realtà presente nel nostro paese.
I cittadini comunitari che si rivolgono ai dormitori. sono molto spesso lavoratori non in regola o con contratti precari cui è precluso, da premesse che non dipendono da una propria libera scelta, l’accesso a condizioni di vita migliori.

Stefan ad es. ha lavorato con una certa continuità per molti dei dieci anni in cui si trova in Italia ma una sopraggiunta precarietà lavorativa unita ad una età considerata avanzata rispetto ai parametri richiesti nel mondo del lavoro ha fatto in modo che non riuscisse più a pagare l’affitto della casa in cui abitava e presso la quale aveva eletto la residenza. Oggi svolge lavori limitati a qualche mese di contratto continuativo non riuscendo ancora ad accumulare la somma necessaria a stipulare un nuovo contratto di locazione.

Ana svolge il lavoro di badante e tende ad accettare lavori di cura che richiedono un notevole impegno perché rivolti a persone in uno stato di salute molto precario. Periodicamente si ritrova ospite dei dormitori in quanto la sua mansione non è più richiesta presso quella famiglia.

Gheorghe lavora nei cantieri edili, solo pochi giorni alla settimana. Si ritrova al mattino presto in un luogo in cui affluiscono altre persone che come lui hanno trovato o sono state contattate per un lavoro da fare in fretta. Alla sera torna al dormitorio ma sono più i giorni che non riesce a trovare posto che quelli in cui può riposarsi.

Iulian svolge lavori occasionali e saltuari e alla sera rimane, quando riesce, in dormitorio. Dopo un certo periodo trova un’occupazione come aiuto cuoco in un ristorante dell’Isola d’Elba e decide di partire per la stagione estiva. Ogni tanto telefona agli operatori per farsi sentire finché, mesi dopo, si fa vivo di persona ma senza documenti e munito di una denuncia di furto. La stagione è finita ma il suo datore di lavoro non lo ha pagato dicendogli che deve aspettare qualche giorno; anche lui sta aspettando dei versamenti. Ma Iulian non ha più soldi perché li ha spediti alla famiglia in Romania e ha lasciato l’alloggio che affittava con altri immigrati. Torna a Torino, rivolgendosi all’unico posto che conosce e aspettando che gli versino l’ultimo stipendio. Intanto recupera la fotocopia dei documenti da una mensa per poveri, poi, finalmente, i soldi arrivano.

Ioan lavorava in nero in un magazzino. Viene investito da un muletto, messo su un’auto, portato al pronto soccorso e scaricato davanti all’ingresso. Fa circa un anno di degenza tra interventi e (poca) riabilitazione. Ha deciso di denunciare il suo datore di lavoro ed è seguito da un avvocato. Quando giunge al dormitorio dice agli operatori di voler cercare una nuova occupazione ma non può più svolgere mansioni pesanti, nemmeno troppo normali per la verità: la sua salute purtroppo è definitivamente compromessa. Ritorna in Romania dopo aver soggiornato qualche mese invano. Non sappiamo più nulla della causa intentata.

Queste sono solo alcune delle storie che gli operatori raccolgono durante il proprio turno di lavoro e nomi a parte sono assolutamente veritiere. Gli immigrati comunitari lavorano nell’edilizia, nelle imprese di pulizia, in qualità di badanti e sono le prime vittime del lavoro irregolare: ricattati e pagati cifre irrisorie non hanno la possibilità di potersi regolarizzare in Italia, proprio a causa della propria condizione lavorativa.

Cosa spinga gli amministratori a voler limitare la loro permanenza è presto detto. Le stime quantitative fanno riferimento al numero di posti a disposizione nei dormitori comunali e poiché questi non sono sufficienti per tutti, è necessario diminuire l’afflusso delle persone. A ciò si aggiunge una stima qualitativa che si basa sulla mera raccolta di dati riguardante la salute degli ospiti comunitari, mentre per noi operatori, una ricerca di questo tipo è necessariamente rivolta all’accertamento della qualità della vita sotto più aspetti, non solo sanitari.
Non è possibile non sottolineare la forte connessione esistente tra il mondo del lavoro e la condizione in cui si trovano a vivere gli immigrati nel nostro paese.

I dormitori non sono certo la risposta più adeguata ai flussi migratori; altresì è importante notare che solo una parte, quella più esposta alla marginalità, finisce per essere intercettatta dalle C.O.N. e che in molti casi la permanenza degli immigrati è transitoria e necessaria, non esistendo che poche ed insufficienti altre possibilità. Ovviamente le risorse disponibili risultano ulteriormente ridotte se si garantisce un accesso allargato, proprio per questo perseguire politiche di accrescimento delle stesse appare ancor più doveroso.
L’esempio del comparto sanitario piemontese (ma non solo), nella gestione delle spese sostenute a garanzia della salute degli immigrati comunitari, riflette una logica che andrebbe la pena considerasse anche chi si occupa di politiche del welfare, mediante l’introduzione di un codice E.N.I. sociale che permetta di ottenere un rimborso delle prestazioni erogate.

E’ del resto noto a tutti gli operatori che, rifiutando la necessaria ospitalità, si costringono le persone a trovare rifugio in fabbriche e capannoni abbandonati, in baracche costruite nei parchi o alle pendici della collina.
E’ questa la tanto millantata sicurezza che si vorrebbe offrire ai cittadini? In realtà la nostra città non sembra avere fatto passi avanti dagli anni ’50 e ‘60 dello scorso secolo, periodo in cui i migranti dal meridione affollavano gli stessi luoghi.

Non si comprende l’esigenza di adottare una lista dedicata esclusivamente agli ospiti comunitari: esiste un apposito servizio che controlla quotidianamente la “regolarità” della presenza nelle case di ospitalità, perché quindi dover compilare moduli e liste specifiche per tali soggetti? Onestamente pare una grave decisione presa all’insegna di politiche discriminatorie.
Una città come Torino medaglia d’oro della Resistenza dovrebbe rifiutare per principio l’idea di stilare e far circolare liste di persone “particolari”, gesto che potrebbe richiamare alla memoria i tristi giorni del fascismo.
Sicurezza e controllo sociale, per gli operatori, sono sinonimi di inclusione ed altro non potrebbe essere. Il dualismo etimologico di “potere” (potentia e potestas venivano usate in latino con differenti significati) suggerisce due opposte nature della parola. L’una orientata al poter fare qualcosa con le persone, l’altra invece ad imporre un potere sulle persone. Il lavoro sociale, come è noto, si svolge “con le persone” ed il controllo che ne consegue può avere, davvero, soltanto una valenza inclusiva.

In sintesi, la proposta degli operatori è di aprire un rapporto dialettico con le istituzioni preposte al fine di poter intervenire con efficacia nel disagio e nell’accoglienza dei cittadini comunitari.

“Chiediamo una deroga alle disposizioni emanate fintanto non siano costituiti specifici ostelli sociali: strutture in cui si possa trovare un posto letto spendendo pochi euro e dove sia possibile eleggere il domicilio, garanzia necessaria all’ottenimento del diritto al soggiorno regolare.
Esempi di tali strutture sono presenti in altri paesi della Comunità Europea, nonché, nella nostra città, ad opera del volontariato, ma in numero non sufficiente a garantire una adeguata ospitalità ai lavoratori immigrati”.

L’appello che facciamo è aperto a tutti, singoli cittadini, movimenti e partiti, realtà sociali dell’associazionismo e della cooperazione, per costruire, insieme alle istituzioni, politiche di welfare che abbiano come cardine la tutela e lo sviluppo delle potenzialità intrinseche dell’individuo, nell’interesse e per la sicurezza di tutta la collettività.

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