Quel che si scorda sui centri sociali*

Gentile
Direttore, dopo
aver seguito con attenzione nelle scorse settimane il dibattito sui
centri sociali ospitato sulle pagine del Suo giornale, ritengo
opportuno introdurre alcune riflessioni che mi sembra non siano state
dovutamente approfondite.

Innanzitutto,
voglio chiarire che non mi interessa qui parlare degli scenari che
potrebbero verificarsi in caso gli attori istituzionali oggi in gioco
decidessero di concretizzare i proclami roboanti con i quali stanno
caratterizzando la campagna sui possibili sgomberi degli spazi
sociali; al contrario mi interessa affermare che il fenomeno centri
sociali non è e non può essere ridotto ad una mera questione di
ordine pubblico.
Non bisogna infatti dimenticare di considerare che
questo “strano” fenomeno si è sviluppato radicandosi in Italia,
ed anche nella nostra città, nell’arco di più di vent’anni.

E
questo non è un caso, perchè nella loro storia i centri sociali
hanno risposto a

domande e bisogni che la Politica (ma anche il Mercato, in prima
battuta) non sono stati in grado o non hanno voluto risolvere; e
quando parliamo di Politica ci riferiamo ovviamente alla destra
liberista e a quella razzista dei vari Borghezio e Carossa, ma anche
a quella sinistra ben rappresentata dal Sindaco Chiamparino sempre in
cerca di nuovi appeal per il consenso elettoralistico ma nella realtà
lontana da sogni, bisogni e conflitti di quella città che a parole
dicono di ascoltare con attenzione.

 

Con
il passare degli anni e il continuo radicamento sociale nei territori
e nei quartieri, gli spazi occupati si sono caratterizzati come
l’unico attore sociale credibile per centinaia di giovani che non
hanno rinunciato ad un orizzonte possibile di trasformazione
immediata della propria dimensione di vita e delle proprie relazioni
sociali, che non hanno rinunciato alla propria rabbia all’interno di
una società dove si è sempre più allargato il divario tra il
normare per controllare di una Politica in evidente crisi e una città
reale impegnata nella sopravvivenza quotidiana

La
seconda questione che mi preme affrontare è quella della relazione
fra gli spazi sociali , le realtà occupate e il tessuto sociale di
questa città. Non lo faccio attraverso un discorso generalista
perchè non mi sento proprio di poter rappresentare la complessità
di queste esperienze nella nostra città, ma lo faccio a partire dal
centro sociale di cui sono militante da diverso tempo.

Negli
anni come centro sociale Gabrio abbiamo incrociato e attraversato -e
continuiamo a farlo, trasformandoci e trasformando- le battaglie per
i diritti sociali, di cittadinanza e le libertà individuali che si
sono date nella nostra città. Abbiamo voluto diventare sponda
politica solida nei confronti delle battaglie antiproibizioniste, a
fianco dei tanti operatori e operatrici che ogni giorno si scontrano
contro il moralismo della Politica per sostenere pratiche reali di
consapevolezza e di riduzione del danno: un approccio mai ideologico
ma sempre pragmatico per comprendere ed affrontare la questione del
consumo di sostanze psicoattive legali e illegali. Abbiamo incontrato
le realtà del movimento lgbtq nelle lotte contro la “normalità”
imposta e il controllo sui corpi, convinti che ogni battaglia per
l’autodeterminazione interroga il senso di libertà di tutti/e e va
sostenuta senza indugi, senza la strumentalità che usa ad esempio il
nostro Sindaco quando fa proclami da novello Zapatero, salvo poi
avallare la stabilizzazione nei nidi e nelle materne degli insegnati
di religione a discapito di tante precarie con titoli da anni in
graduatoria. Abbiamo sostenuto e promosso le lotte degli immigrati e
delle immigrate, dei rifugiati e delle rifugiate, convinti/e che il
razzismo sia un cancro terribile e che su questo terreno le
latitanze, le mancanze opportunistiche, della Politica siano state
fin troppo evidenti, fino ad arrivare alla condivisione di temi –
fra destra e sinistra – sulle espulsioni, le persecuzioni, le
omesse accoglienze e la negazione dei diritti di cittadinanza.

Da
anni rappresentiamo un importante centro di aggregazione per
moltissimi giovani del quartiere San Paolo: lo spazio liberato 15
anni fa da un gruppo di militanti -sottratto all’incuria e al
degrado- è stato ed è tutt’ora per molti ragazzi e ragazze un luogo
dove sperimentarsi e produrre iniziative fuori dalle logiche della
produzione e del mercato. Oggi nel centro sociale i giovani immigrati
aumentano sempre di più e, mentre sperimentiamo forme differenti di
relazioni che decostruiscono i paradigmi tra i generi e le
nazionalità, creando un tessuto sociale meticcio, continua la
ricerca di una dimensione possibile di protagonismo, la stessa che
forse dieci anni fa cercavano i giovani del quartiere, quella
dimensione che ti vuole far contare e non essere semplicemente
contato.

Non
so dire oggi quali saranno gli sviluppi della campagna di sgomberi in
questa città; mi pare chiaro in ogni caso che chi oggi subisce la
tentazione di voler chiudere “manu militari” il capitolo centri
sociali, dimentichi per strada il piccolo particolare che una buona
parte degli spazi sociali e delle case occupate fanno parte della
storia e della vita civile di questa metropoli; una qualsiasi
rimozione forzata di queste realtà rappresenterebbe l’apertura di
una ferita profonda difficilmente rimarginabile, rappresenterebbe un
attacco grave a una delle parti più vive di questa città; quella
parte che con mille differenze e sfaccettature sceglie di insistere
sulle contraddizioni sociali, perchè riteniamo questa pratica come
il sale della democrazia.

Claudio Robba

Centro
Sociale GABRIO

*Versione integrale della lettera pubblicata su “la Repubblica” pagine di Torino sabato 12/12/09 con alcune parti omesse