Dom 17 Giugno 2012: Torino Mad Pride – ore 14 fronte stazione Porta Nuova

13 maggio 1978: entra in vigore la legge 180, ” Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori “. Si tratta della prima e unica legge quadro italiana in materia di salute mentale, che impose la chiusura dei manicomi, regolamentò il trattamento sanitario obbligatorio e istituì i “servizi di igiene mentale pubblici”. La legge viene spesso associata a Franco Basaglia, psichiatra, all’epoca direttore del manicomio di Gorizia, che si fece autorevole portavoce di un movimento culturale che rivendicava una nuova concezione di salute mentale e di presa in carico delle persone sofferenti di un disagio psichico. Obiettivo principale del movimento era ridare dignità e restituire diritto di cittadinanza a tutte quelle persone che, in nome di una diagnosi clinica e di una presunta pericolosità sociale associata al disagio psichico, erano rinchiusi nei manicomi. Matti, da rinchiudere, non erano solo le persone affette da un disturbo psichico, ma tutti coloro che non si conformavano alle norme sociali imperanti: omosessuali, prostitute, agitatori sociali, orfani, senza fissa dimora, disabili. La legge 180 venne immaginata come primo passo di un processo di deistituzionalizzazione: il manicomio non è un luogo di cura, ma di segregazione ed esclusione sociale. Il benessere psicofisico degli individui si fonda invece sull’integrazione sociale e la presa in carico psichiatrica deve diventare strumento di emancipazione, non una condanna a vivere ai margini della società. Il luogo della cura è il territorio, l’ambiente di vita, non l’ospedale. In quest’ottica viene anche normato il trattamento sanitario obbligatorio: si riconosce che, in particolari circostanze di sofferenza psichica, il servizio sanitario possa obbligare un libero cittadino ad un percorso di cura, se e solo vengano ravvisate queste tre condizioni: una situazione clinica emergenziale, la momentanea incapacità del soggetto di prendersi cura di sé e la necessità di cure ospedaliere (impossibilità di una presa incarico domiciliare).      

17 maggio 2012: viene approvato in Commissione Affari sociali della Camera un testo di Riforma della legge 180. Primo firmatario il disonorevole Ciccioli (PDL). In base a questo progetto di legge, il Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO) cambia nome, diventando Trattamento Sanitario Necessario (art.4). Il termine “obbligatorio” riconosceva l’esistenza del paziente, la sua dignità, il suo essere portatore di diritti. Prevedeva una costante negoziazione tra chi cura e chi viene curato. ‘Necessario’, invece, sottolinea la concezione del paziente come oggetto, lo stigmatizza come pericoloso e incurabile. Il TSN non prevede il consenso del paziente, ha durata di 15 giorni (invece dei 7 previsti per il TSO) e può essere prolungato a discrezione del responsabile del servizio psichiatrico di diagnosi e cura (SPDC) ospedaliero. Ma non solo: si può trasformare in Trattamento sanitario necessario extraospedaliero, oggi non previsto dalla legge, regolato dall’art. 5 del nuovo testo: la durata prevista è di sei mesi, prolungabili a dodici su indicazione dello psichiatra. Poiché la proposta di legge non specifica che il trattamento non è rinnovabile, potrebbe essere rinnovato ancora di sei mesi in sei mesi, instaurando un ciclo in cui il paziente è trattenuto indefinitamente. Si tratta di una deresponsabilizzazione del medico, che per sei mesi non è tenuto ad occuparsi in prima persona del suo assistito, ma soprattutto di uno stravolgimento del concetto stesso di cura: la condivisione del progetto riabilitativo tra terapeuta e paziente perde il proprio senso e la valenza curativa che porta con sé. Ci ricorda qualcosa?! La stoccata finale arriva con l’  art. 10. Nei casi in cui la convivenza con il paziente comporti rischi per l’ incolumità fisica del soggetto o dei suoi familiari, questi deve essere trasferito in una residenza idonea messa a disposizione della Regione/provincia autonoma. Si sta parlando delle cliniche private che, non a caso, da circa un anno hanno stipulato col servizio sanitario nazionale una convenzione per l’apertura di appositi reparti dedicati alla “fase acuta” e che, con la complicità di questa proposta di legge, possono contare sull’acquisto di un posto letto per almeno sei mesi – un anno.

Il nostro percorso politico ci porta da sempre a scendere in piazza per reclamare reddito, diritti, dignità. Siamo a fianco dei migranti, criminalizzati e reclusi quando non sono in possesso di un permesso di soggiorno; siamo a fianco delle donne, la cui libertà di scelta in materia riproduttiva viene di nuovo messa in discussione con un tentativo di delegittimazione della legge 194; siamo a fianco di chi si riprende il diritto all’abitare occupando case e proponendo forme di coabitazione solidale in risposta alla speculazione; siamo in val di Susa col popolo NO TAV, che combatte per non svendere la propria terra agli affaristi delle grandi opere; siamo a fianco dei consumatori di sostanze, criminalizzati da leggi repressive in nome del proibizionismo; siamo a fianco del movimento LGBTQ nel rivendicare piena dignità ad ogni orientamento sessuale. Vogliamo esserci anche oggi: a fianco degli utenti dei servizi di salute mentale e di quegli operatori (che nei servizi lavorano con passione, aspettando per mesi uno stipendio che non arriva, di cui le ASL sono i primi debitori) che non ci stanno ad essere succubi di un sistema che vuole rendere la “cura” uno strumento di controllo sociale e lucrare sulla nostra salute. 

Siamo in piazza per ribadire orgogliosamente il nostro DIRITTO all’AUTODETERMINAZIONE:

sul nostro corpo, sulla nostra sessualità, sulla nostra terra…

sulla nostra salute vogliamo decidere noi!

NO AL TRATTAMENTO SANITARIO NECESSARIO

NO ALLE CLINICHE-MANICOMIO!

C.S.O.A. Gabrio