Inchiesta a puntate a cura dello Sportello Il-legale Antirazzista
Fin dalla loro nascita nel 1998, i campi di detenzione amministrativa e deportazione dei e delle migranti sono stati un grande affare per le associazioni, le ONG e le aziende vincitrici degli appalti di gestione.
Risalendo la storia di queste infami strutture fino alla loro nascita, possiamo osservare come i primi Centri di Permanenza Temporanea (CPT) fossero gestiti principalmente da Associazioni Umanitarie e ONG spesso legate alla sinistra istituzionale. Tali realtà si prefiggevano l’obiettivo, talvolta ingenuamente, talvolta in malafede, di umanizzare questi centri detentivi i quali, fin dal principio, mostrarono la loro natura di lager.
Inizialmente la maggior parte dei CPT era gestita dalla Croce Rossa, associazione che da sempre ha fatto vanto della propria “neutralità” in materia di soccorso, spesso rimasta indifferente o ancor peggio complice di torture in questi centri. (La storia di Fathi – CPT Torino –> https://gabrio.noblogs.org/post/2008/05/25/qua-siamo-come-in-un-canile/).
Solo nel 2004, la Croce Rossa ha incassato, per la gestione dei lager di Milano, Bologna, Torino e Roma, più di 20 milioni di euro (3,9 milioni solo per il CPT di Torino). Tenendo il focus sul CPT di Torino, la gestione a cura della Croce Rossa è durata per ben 14 anni, al termine dei quali la palla è passata in mano alla multinazionale francese Gepsa consorziata per l’occasione con Acuarinto, associazione “umanitaria” dai contorni poco limpidi, protagonista nel business dell’accoglienza.
Questo cambio di paradigma nella gestione delle strutture di detenzione amministrativa può essere esteso su tutto il territorio italiano. Negli anni, infatti, la variabilità del numero di detenuti nei CPR (Centro di Permanenza per il Rimpatrio – ex CIE), la competizione sempre più orientata ad una strategia di prezzo al ribasso e all’eliminazione di servizi essenziali hanno generato un divario tra gli enti caritatevoli/piccole cooperative e i professionisti del settore. Questi ultimi, principalmente rappresentati da cooperative, consorzi di cooperative e multinazionali, hanno via via consolidato il loro dominio nel business della
detenzione amministrativa sbaragliando la concorrenza. L’interesse economico che guida le loro proposte non lascia alcuno spazio a considerazioni di tipo etico. Se il margine di guadagno dipende dalla variazione numerica dei reclusi, una delle scontate necessità (neanche troppo celate) è quella di avere i CPR sempre pieni.
La negligenza (in diversi casi ricercata e punitiva nei confronti dei reclusi) di chi gestisce le strutture, oltre che la legittima richiesta di libertà da parte dei detenuti, sono le cause principali delle rivolte che scoppiano continuamente all’interno dei CPR. Il danno economico non trascurabile di queste azioni di ribellione ha comportato un sempre più stretto rapporto organizzativo degli enti gestori con la polizia. L’ente gestore,infatti, più che essere un osservatore esterno nella quotidianità della detenzione è direttamente
responsabile delle condizioni disumane in cui i reclusi sono costretti a vivere e complice delle violenze che la polizia commette ogni giorno.
PRIVATO È MEGLIO
I privati applicano la strategia del ribasso sui costi di gestione dei CPR in modo da minimizzare le spesecostringendo i reclusi a condizioni ancor più precarie. Non è un caso che questo meccanismo capitalista si rifletta nella “gestione dei migranti” attraverso la collaborazione tra il settore pubblico e quello privato nella gestione delegata dei centri. Come in ogni altro settore, anche nella detenzione amministrativa, la gestione affidata a privati basa le sue fondamenta sulla retorica dell’efficienza (di questi ultimi) e del risparmio per la macchina statale in tempi di Austerity. Le strutture private infatti, con delle offerte ribassate per i servizi ai reclusi, garantiscono allo Stato di investire maggiormente sull’aspetto repressivo.
Negli anni infatti ad una diminuzione costante delle offerte private è corrisposto un aumento vertiginoso dei costi per l’ammodernamento delle strutture, impianti di sorveglianza e personale di sicurezza per rendere più efficienti possibile, dal punto di vista repressivo, queste strutture. In questo modo le istituzioni riescono a scaricare a terzi le responsabilità etiche e politiche della gestione dei CPR coprendosi gli occhi di fronte al taglio dei servizi o allo sfruttamento dei lavoratori e delle lavoratrici degli enti gestori e delle
aziende in subappalto.
– NEL CUORE DEL BUSINESS: La corsa agli appalti.
I bandi per la gestione dei CPR sono emessi dalle prefetture territorialmente competenti e hanno una durata di 12 mesi rinnovabili per un periodo non superiore ad ulteriori 12 mesi. Precedentemente al DL. 113/2018 (cd. Decreto Sicurezza e Immigrazione) la durata del contratto poteva essere fissata a due o tre anni.
Le condizioni di rinnovo sono rimaste invariate nonostante il nuovo decreto: “In caso di rinnovo, la Prefettura procederà a stipulare un nuovo contratto di appalto, alle medesime condizioni del precedente, previa negoziazione avente ad oggetto esclusivamente l’eventuale modifica del numero complessivo di posti, tenuto conto delle presenze effettive al momento del rinnovo nonché del fabbisogno stimato in base
all’andamento dei flussi.”
La fornitura di beni e l’erogazione dei servizi di accoglienza sono variabili e ogni bando ha specifiche richieste di gestione e di prestazione che vanno dal servizio di pulizia e lavanderia, all’erogazione di beni per l’igiene personale, dalla fornitura di servizi di comunicazione con l’esterno (secondo regolamento interno ad ogni CPR) al servizio di assistenza sanitaria (una visita medica d’ingresso e il primo soccorso sanitario, la tenuta di una scheda sanitaria per ciascun ospite) passando per la distribuzione di cibo.
Questi bandi sono molto spesso poco chiari e interpretabili da chi li vince con una flessibilità che gli garantisce discrezionalità
di operato e un margine di guadagno considerevole. Ancora meno trasparenza esiste rispetto alle aziende a cui vengono subappaltati i servizi da parte degli enti gestori. Le trattative, infatti, vengono demandate completamente agli attori privati, i quali non sono obbligati a dichiarare a chi vengano subappaltati i servizi,a che prezzo ed in base a quali standard di qualità.
Delegare la gestione di questi centri ai privati significa deresponsabilizzazione della politica, mancanza di trasparenza, difficoltà ad accedere a dati ed informazioni riguardanti la vita interna ai centri. Aspetti che rendono molto difficile l’azione di denuncia e della solidarietà dall’esterno.
🔴Puntata 1
Cpr di TORINO
Ente gestore: GEPSA
🔴Puntata 2
Cpr di MACOMER (NU)
Ente gestore: ORS Italia