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WALZER CON BASHIR

torna a cinema

http://www.youtube.com/watch?v=-8f7n2VYF04

 

Valzer con Bashir (2008) di Ari Folman

 

Giustamente premiato ai Golden Globe, un piccolo gioiello da tutti acclamato.
Il Manifesto: …un lavoro duro e impressionante…
El Pais: …oltre ad avere un talento straordinario, Ari Folman ha un ammirevole coraggio.
Il Messaggero: Il risultato è un film che cambia tutto il modo di fare cinema.
Corriere della Sera: “Valzer con Bashir” si avvale di animazioni più realiste delle immagini reali.
Il Tempo: …un film di animazione più reale, e realistico, di un documentario dal vero.
Il Giornale: …un cartoon per adulti, toccante e mai fazioso, quasi un viaggio psicoanalitico dentro un’amnesia
individuale e collettiva insieme
.
Panorama: Un
film d’animazione che non è un cartoon, un racconto di guerra che è un
viaggio nella memoria, un documentario che evoca fantasmi…

Variety: …un qualcosa di speciale, strano, originale e potente.
The Times: …un film potente, pacifista, fortemente personale…

Valzer con Bashir - LocandinaGrande
successo (di critica e di pubblico) all’ultimo Festival di Cannes, un
terribile atto d’accusa verso ogni guerra che commuove coinvolge
indigna angoscia… e il tutto con un ammirevole eclettismo di
tecniche impiegate – secondo i casi animazione classica,
tridimensionale, flash ed effetti speciali – e un’eccezionale
creatività del montaggio
(Repubblica).
“Valzer con Bashir” mostra con coraggio e
senza falsi pudori come ogni conflitto non sia altro che un insieme di
orrori, di paura, di disperazione, di vigliaccheria, di prevaricazione,
di ferocia, di traumi, di disumanizzazione, di mostruosità senza senso…
Di difficile collocazione per la coesistenza di stili diversi, il
film mescola abilmente il documentario politico e l’autobiografia, il
genere guerra e la psicoanalisi, la trascrizione di sogni – fantasmi,
reminiscenze – e una splendida animazione grafica
(Le Monde): in effetti nel lavoro di Ari Folman non sai se ammirare maggiormente la tecnica o il contenuto.

Nel fare emergere la memoria di una pagina buia della sua storia
personale e di quella del suo paese, il regista israeliano mostra come
realtà e immaginazione siano facilmente mescolabili: “Valzer con Bashir”
è, e al contempo non è, un documentario e una fiction (mirabilmente
fusi realismo surrealismo onirismo). Un’opera emozionante come poche,
innovativa nel modo di presentare le cose mediante tavole disegnate ed
effetti digitali, attuale più che mai oggi: una narrazione
psicoanalitica che costituisce un salutare pugno nello stomaco dello
spettatore, dall‘inizio alla fine.

Straziante e sconvolgente il finale. Si esce dalla proiezione incapaci di parlare.

Del suo film (ci son voluti ben quattro anni per realizzarlo!), Ari Folman ha detto: Il
messaggio è che ogni guerra è sbagliata. Dovunque nel mondo. Non è come
nei film americani, non c’è alcuna gloria nella guerra. Di solito i
giovani che guardano i film di guerra dicono ‘si, è dura là fuori, ma
c’è comunque un grande senso di amicizia tra i soldati… voglio esserci
anche io’… spero che con questo film dicano: ‘non vorrei mai essere lì’
.
Giustamente Dario Arpaio, commentando la pellicola, ha scritto:
Nessuno vince mai una guerra. Nei sopravvissuti restano solo immagini a due colori e qualche incubo ricorrente…
Per non dimenticare che la pietà non va alla guerra
.

Un vero peccato che il film venga distribuito in così poche sale.

 

MILK

torna a cinema

 

Uscite allo scoperto, apritevi alla speranza

a cura di
Massimo Borriello 

Il
film di Van Sant va a farsi voce e guida di una comunità, quella
omosessuale, ancora lontana dalla conquista di diritti fondamentali,
attraverso il canto di uno dei suoi eroi. Pur trattenendosi nel ricamo
visivo della pellicola, il regista rende comunque di notevole impatto
il narrato, assicurando grande importanza ad ogni singolo evento di cui
dà conto, della vita di Harvey Milk.
Uscite allo scoperto, apritevi alla speranza
L’arte,
talvolta, ha bisogno di essere messa da parte. Succede quando il
messaggio che si vuole far passare esige chiarezza totale per
raggiungere il pubblico e diventare tesoro. Così un’opera può
svincolarsi dalle esigenze estetiche dell’occhio più fine, facendo
della semplicità un’arma vincente con la quale farsi strada nelle
sacche di conoscenza di ogni individuo. Ne sa qualcosa Gus Van Sant,
uno dei geni assoluti dell’universo cinema, un regista che negli ultimi
anni ci ha regalato le più potenti immagini di quella favola nera che è
l’adolescenza, e che oggi arresta per un attimo il suo brillante
processo di sperimentazione per raccontare una piccola e significativa
storia senza lasciare che il suo estro, la sua dirompente genialità,
occluda la narrazione e il significato di cui si fa portatrice. Perché Milk
di Van Sant va a farsi voce e guida di una comunità, quella
omosessuale, ancora lontana dalla conquista di diritti fondamentali,
attraverso il canto di uno dei suoi eroi. E’ naturale che l’argomento
stia particolarmente a cuore al regista che pur trattenendosi nel
ricamo visivo della pellicola, rende comunque di notevole impatto il
narrato, assicurando grande importanza ad ogni singolo evento di cui dà
conto, della vita di Harvey Milk, il primo politico gay dichiarato ad
essere stato eletto a una carica pubblica negli Stati Uniti, quella di
consigliere comunale nella vibrante San Francisco degli anni ’70.

James Franco e Sean Penn in una scena del film MilkLa
figura di Milk è quella del condottiero, dell’ispiratore, che con le
sue ostinate e coraggiose battaglie politiche, che l’hanno portato
all’orribile morte avvenuta per omicidio nel 1978, è diventato icona di
un intero movimento. Van Sant sceglie di mettersi al suo servizio,
lascia che a parlare sia la sceneggiatura lineare, quasi scolastica,
scritta dal trentaquattrenne Dustin Lance Black
che ci racconta non solo dei traguardi di una vita, ma anche delle
rotte da essa segnate. Senza mai abbandonarsi al ricatto emotivo, tanto
che in certi passaggi si può addirittura avvertire una certa freddezza,
Milk si fa commovente quando rivela il messaggio più importante
dietro il racconto biografico: stringetevi nella speranza e continuate
a lottare. Se della meraviglia si può trovare nel film, è tutta nello
spirito di solidarietà che tiene insieme i personaggi, negli abbracci,
nell’aggregarsi per andare alla conquista un comune obiettivo: il
diritto all’esistenza, la possibilità di uscire allo scoperto senza
vergognarsi di sé stessi, senza il timore di venire schiacciati
dall’ignoranza altrui. L’amore che fa vibrare il film è una
resurrezione, ci restituisce quello spirito che tiene insieme gli
individui, quella fiducia che è essenziale riporre nell’altro per
ottenere il proprio riconoscimento. Trovandosi a maneggiare personalità
dal grande fascino, il regista può approfondire o limitarsi a
pennellare, con grande agilità, i personaggi, dotando ognuno di essi di
una dignità che si fa essa stessa significante.

Sean Penn in una scena del film MilkTalvolta
ridondante nel suo sviluppo, il film di Van Sant ha la capacità di
ritagliarsi, oltre la ‘cosa pubblica’, dei momenti di grande tenerezza.
Milk è stato un personaggio che ha dovuto lottare per diventare
pubblico, compromettendo inevitabilmente il privato. Chi gli stava
accanto non ha retto, schiacciato dalla distanza del quotidiano, ma
Milk ha avuto la forza di non impantanarsi nella solitudine, andando
dritto per la sua strada, nel suo sogno di sconfiggere i pregiudizi che
spesso si cibano dei soliti, agghiaccianti deliri cattolici secondo i
quali le fiamme dell’inferno sono pronte ad ardere quella diversità che
mette in pericolo l’idea di Famiglia così cara alla Chiesa. Non serve
neppure esprimere un giudizio su certe idiozie, così il film invece di
schernire si limita a mostrare la realtà con vocazione
documentaristica, compresa quindi la sua degenerazione, diventando in
questo modo opera di ampio respiro piuttosto semplice da accogliere. Sean Penn
si cuce addosso il personaggio di Harvey Milk, lavora con grande
meticolosità sulla gestualità e sulla voce, sulla mimica facciale e
sulle urgenze che muovevano il personaggio-simbolo che è chiamato a
interpretare. L’attore californiano non si risparmia e si regala al
pubblico anche nei baci che è disposto a scambiarsi con un James Franco
mai così bravo, al quale basta uno scambio di sguardi nel finale per
riscattare un’intera carriera. Proprio quel finale ci abbaglia, con le
mille luci che si alzano al cielo, e le ultime parole di Milk che
diventano per lo spettatore un lungo brivido, una lacrima che muore per
creare nuova vita, una carezza calda nella quale accucciolarsi, un
invito che va colto, custodito, e condiviso. Uscire allo scoperto e
aprirsi alla speranza. ‘La speranza di una vita migliore, la
speranza di un domani migliore. Perché senza speranza la vita non vale
la pena di essere vissuta.

 

CHE

torna a cinema

Il rivoluzionario Guevara senza romanticismi.
Soderbergh rinuncia all’epica hollywoodiana – tratto da "Corriere della sera"

Ernesto 'Che' Guevara, 1928-1967
Ernesto "Che" Guevara, 1928-1967

Si può raccontare la vita di Ernesto Guevara senza fare i conti con
il mito del «Che»? La sfida sembrerebbe impossibile: anche un film come
I diari della motocicletta, che ne raccontava la giovinezza
argentina, non riusciva a tenere a freno la contagiosa esuberanza del
protagonista. Affrontando invece i due momenti cruciali della vita di
Guevara, la rivoluzione cubana prima e la guerriglia in Bolivia poi in
un mega-film di oltre quattro ore che esce in due parti (adesso Che-L’argentino e a maggio Che-Guerriglia),
il regista Steven Soderbergh sembra essersi fatto guidare soprattutto
dalla voglia di raffreddare la materia e di affrontare con gli
strumenti della ragione quello che di solito si racconta con
l’entusiasmo del militante.

Caldeggiato fortemente dall’attore Benicio Del Toro (che si cala nei
panni di Guevara con sorprendente rassomiglianza) e dalla produttrice
Laura Bickford, il progetto del film ha cominciato a prendere forma più
di dieci anni fa, nel 1996, ma è diventato qualche cosa di concreto
solo nel 2005, dopo che la sceneggiatura è stata affidata a Peter
Buchman. È dal suo lavoro e da quello di Soderbergh che nasce l’idea di
privilegiare due soli momenti di tutta la lunga e avventurosa vita del
«Che» giocando continuamente al contrappunto: Cuba contro Bolivia ma
anche, all’interno della prima parte, teoria contro azione, utopia
contro (dura) realtà, rivoluzione contro (o a fianco di) politica.

Questa operazione non è evidentemente senza conseguenze: da una
parte permette al film di avere un andamento il meno hollywoodiano
possibile, lontanissimo dall’epicità finto-romantica con cui il cinema
americano ha spesso raccontato rivoluzioni e rivoluzionari (basterebbe
pensare all’orrendo Che! di Fleischer con Omar Sharif nei panni
di Guevara). E dall’altra offre al film la possibilità di «distaccarsi»
dalla materia raccontata per trasformare la storia in strumento di
(auto)riflessione, recuperando certi insegnamenti godardiani
sull’intreccio tra finzione cinematografica e inchiesta giornalistica
(non a caso Questa è la mia vita era uno dei modelli a cui Soderbergh si è ispirato).

Benicio Del Toro, classe 1967
Benicio Del Toro, classe 1967

Ecco perché Che-L’argentino gioca molto col montaggio,
perdendo di vista lo svolgimento cronologico delle azioni e invece
giustapponendo momenti della visita del «Che» alle Nazioni Unite nel
1964 a episodi della guerriglia sulla Sierra Maestra cubana del 1957/58
a momenti addirittura precedenti, come l’incontro tra Guevara e Fidel
Castro in Messico nel 1955. In questo modo frasi e dichiarazioni più
«programmatiche» (come erano le risposte ai giornalisti americani o i
punti salienti del suo discorso all’Onu contro l’imperialismo e la
sudditanza degli Stati sudamericani) trovano un riscontro immediato con
le scelte concrete fatte durante la guerra rivoluzionaria, anche loro
mostrate non per la loro forza epica ma piuttosto per quello che
possono «insegnare» e «dimostrare».

Così fa una certa impressione sentir dire a una giornalista
newyorkese che la prima qualità di un rivoluzionario è «l’amore» e
subito dopo vedere la decisione di abbandonare un compagno alle sevizie
dei soldati di Batista pur di non farsi scoprire, scelta che si spiega
solo capendo che quell’«amore» non va inteso in senso cristiano ma
rivoluzionario, perché il sacrificio di un militante giustifica la
possibilità della sopravvivenza del gruppo. O ancora, prima
dell’attacco alla caserma di El Ulvero, il discorso sulla inevitabile
vittoria dei rivoluzionari di fronte ai mercenari che sembra essere
contraddetto dai morti che i ribelli lasciano sul campo ma che finisce
per essere avvalorato dalla conquista della postazione. Ogni scena,
cioè, prende valore per quello che spiega e insegna sul percorso
rivoluzionario e non per la forza emotiva che può avere.

 
 

È per questo che il film andrebbe visto nella sua interezza di
quattro ore, perché la seconda parte funziona da contrappunto alla
prima e molte scene della prima rimandano alla seconda o trovano lì la
loro «conclusione» (come il discorso sui sedicenne che a Cuba non
possono partecipare alla rivoluzione e in Bolivia sì, salvo poi
scoprire che i primi si riveleranno dei veri rivoluzionari e i secondi
tradiranno). Ma la distribuzione ha leggi che a volte vanno contro a
quelle dei film e in questo modo Che-L’argentino finisce per pagare delle colpe che non sono del tutto sue.
Nella
sua unità/complessità sarebbe stato più chiaro il percorso di
Soderbergh. Così invece si rischia di accentuare troppo una scelta di
stile che sembra solo «contro» (contro il mito del «Che» ma anche
contro l’epicità troppo programmatica di certo cinema hollywoodiano) e
meno «a favore» (di un soggetto indubbiamente originale e lontano dalle
mode).


Paolo Mereghetti

 

CORTEO NAZIONALE MIGRANTI – 23 MAGGIO 09 – MILANO

APPELLO PER UNO SPEZZONE DI RIFUGAT*
 
 Sempre più spesso nel corso degli ultimi anni in diverse città italiane si è iniziato a parlare del "caso rifugiati". A Pianura; a Torino dove da tre anni gruppi di rifugiati e rifugiate stanno sostenendo una dura lotta contro l’amministrazione locale per il riconoscimento dei propri diritti di cittadinanza (e resistono ad oggi due case occupate, via Bologna e corso Peschiera dove vivono circa 300 cittadini provenienti da Sudan, Somalia, Etiopia ed Eritrea), a Massa dove questo inverno stanchi dell’immobilismo delle istituzioni diversi rifugiati hanno occupato una statale scontrandosi duramente con le forze dell’ordine; a Milano dove dopo lo sgombero di uno stabile occupato a Bruzzano da centinaia di persone provenienti dal corno d’ Africa, l’unica risposta del Comune è stata la "garanzia" di alcuni mesi di dormitorio.; a Rieti, dove gruppi di giovani Eritrei si sono opposti alla scadenza dei progetti di protezione nei quali erano stati inseriti.

L’Italia:
– paese firmatario della Convenzione di Ginevra del 1951 sui
rifugiati, la pietra miliare del diritto internazionale dei rifugiati
– continua ad essere l’unico paese dell’Unione Europea sprovvisto di una legge organica sull’asilo, con gravi conseguenze sulla condizione di rifugiati, titolari di protezione umanitaria e richiedenti asilo.
Intanto nel 2008 sono state presentate circa 30mila domande di asilo politico (circa il 50% ha avuto riconosciuta una forma di protezione), un numero che ha portato l’Italia ad essere il quarto paese al mondo per numero di richieste, a fronte di un sistema SPRAR(il programma di assistenza decentrato per i richiedenti asilo) che garantisce 6000 posti ogni anno (3000 circa ogni 6 mesi, che è l’effettiva durata di un progetto).
Basterebbero questi dati a mettere in luce un sistema assolutamente inefficiente a livello nazionale, influenzato anche da alcune normative internazionali come la convenzione di Dublino, che legano il rifugiato al Paese nel quale ha presentato la domanda: per molti e molte rifugiat* l’Italia sarebbe semplicemente un passaggio verso altri paesi europei.
Unitamente a tutto questo ci sono poi le grandissime responsabilità dei livelli di governance locale, incapaci di garantire i diritti minimi di cittadinanza: a Milano la risposta è stata la repressione e la marginalizzazione dei bisogni espressi con l’occupazione di Bruzzano;
a Torino prima i giochi da politicanti di palazzo della giunta
(Assessore alle politiche Sociali -Marco Borgione- in testa) e della Prefettura tutti volti a schivare le proprie responsabilità reali e poi la violenza e le intimidazioni delle forze dell’ordine.
E così ogni volta che l’esasperazione, la stanchezza, le speranze deluse e soprattutto la rabbia porta giovani rifugiat* ad alzare la testa, rompendo quell’aura di compatibilità in cui il senso politico comune li vorrebbe confinati, i media parlano del "caso", scoprono che per stare in mezzo ad una strada senza alcun diritto riconosciuto un immigrato non deve per forza essere un clandestino e le istituzioni nazionali e locali dimostrano tutta la loro ipocrisia condita da un misto di non-volontà ed incapacità di dare risposte concrete ai bisogni essenziali che questi uomini e queste donne pongono.
Non ci interessa distinguere tra chi ha un documento e chi invece no, consapevoli che la crisi e il razzismo delle istituzioni colpiscono tutti e tutte allo stesso modo, e il permesso di soggiorno o l’asilo politico rappresentano esclusivamente dei diritti di carta.
Vediamo nel momento di piazza del 23/5 a Milano un primo possibile passaggio di ricomposizione delle istanze di lotta e liberazione dal razzismo e dallo sfruttamento verso i migranti. Dentro questo corteo, vogliamo però provare a costruire uno spezzone che provi a tenere insieme, a far parlare nelle diverse lingue d’origine uomini e donne rifugiati, protagonisti di diverse lotte sui territori che però parlano tutte lo stesso linguaggio, che è quello di una dignità negata che vuole emergere con tutta la sua forza.

CASA LAVORO RESIDENZA
CONTRO IL PACCHETTO SICUREZZA
CONTRO LA NUOVA POLITICA GOVERNATIVA DEI RESPINGIMENTI IN MARE
CONTRO IL RAZZISMO
PER I DIRITTI DI CITTADINANZA
PER LA SOLIDARIETÀ ATTIVA CON LE LOTTE DI MIGRANTI E RIFUGIAT*

CORTEO NAZIONALE MIGRANTI – 23 MAGGIO 09 – MILANO

DA CHE PARTE STARE
CONTRO LA CRISI E CONTRO IL RAZZISMO!

 

 
La crisi colpisce duro, la crisi colpisce tutti: donne e uomini, italiani e migranti. Eppure, per rispondere alla crisi, il governo produce e sancisce differenze. È razzismo istituzionale: la legge Bossi-Fini e il “pacchetto sicurezza” inseguono il sogno di una forza lavoro usa e getta, vogliono ridurre i migranti e le migranti alla perenne espellibilità. Tutti i lavoratori e le lavoratrici in cassa integrazione, sospesi dal lavoro e licenziati vedono ogni progetto di vita frantumarsi di fronte ai loro occhi. Tra i lavoratori, i precari con contratti a termine e senza garanzie sono messi alla porta per primi. Tra i lavoratori, i migranti vivono una doppia precarietà, sanno che il permesso di soggiorno non sarà rinnovato, la clandestinità è una minaccia più vicina, l’espulsione una possibilità sempre presente. Per questo è ora di scegliere DA CHE PARTE STARE.

Il razzismo istituzionale colpisce duro: il Governo Berlusconi, con la Lega Nord in prima fila e buona parte dei media, hanno dato il via ad una campagna di odio che si indirizza prevalentemente contro i “clandestini” ma criminalizza tutti i migranti giustificando il loro sfruttamento. La proposta di un “contributo” per il rinnovo dei permessi – che si aggiunge al furto dei contributi previdenziali e pensionistici che non possono essere ritirati – mostra che il salario dei migranti è considerato risorsa sempre disponibile. Si tratta di denaro che, con quello di tutti i lavoratori, pagherà nuovi Centri di identificazione ed espulsione. E mentre il razzismo istituzionale si legittima sul corpo delle donne facendo strada a ronde e linciaggi popolari, la violenza continua nelle case, i tagli alla scuola e al welfare pretendono di rinchiudere tutte le donne tra le mura domestiche, riservando alle migranti solo un posto da “badanti”. Per questo è ora di scegliere DA CHE PARTE STARE.

La crisi mostra spietatamente che lo sfruttamento non conosce differenze: tutti hanno mutui e affitti da pagare, l’incubo del giorno dopo. Il razzismo istituzionale impedisce però ai migranti di sperare persino nelle già povere “misure anticrisi”. Ammortizzatori sociali, piani edilizi, bonus bebè non li riguardano: devono solo pagare, e farlo in silenzio. L’abolizione del divieto di denunciare i migranti irregolari che si rivolgono alle strutture sanitarie è l’espressione più meschina di una strategia che vuole produrre una clandestinità politica oltre che legale. Impedire di certificare la nascita dei figli e delle figlie dei migranti senza documenti pone un’ipoteca sulle prossime generazioni. Per questo è ora di scegliere DA CHE PARTE STARE.

Contro i colpi duri della crisi e del razzismo istituzionale, la risposta deve essere altrettanto forte. È ora di scegliere DA CHE PARTE STARE, e tutti e tutte siamo chiamati in causa. Le organizzazioni autonome dei migranti, che in questi anni hanno tenuto alta la lotta contro la legge Bossi-Fini, le associazioni e i movimenti antirazzisti, i sindacati, tutti siamo tenuti a schierarci contro questa politica del razzismo. Fino a quando i migranti saranno esposti al ricatto, tutti saranno più ricattabili. È tempo di ritessere il filo della solidarietà, di avviare in ogni territorio una nuova grande azione concreta di lotta capace di opporsi a un attacco alle condizioni di vita che colpisce prima di tutto i migranti, ma non solo i migranti.

È ORA DI STARE DALLA PARTE DEI MIGRANTI E DELLE MIGRANTI. Per questo, facciamo appello a tutti i lavoratori, le lavoratrici, gli studenti e le studentesse, le associazioni e i sindacati, affinché siano parte di questa lotta. Con questo appello inizia il percorso per una mobilitazione che arrivi a una grande manifestazione nazionale il 23 maggio a Milano, una città del nord dove più evidenti sono le caratteristiche dell’offensiva del razzismo istituzionale e più marcati gli effetti della crisi. Affinché gli effetti della legge Bossi-Fini non amplifichino quelli della crisi, NOI CHIEDIAMO:

– che i permessi di soggiorno siano congelati in caso di licenziamento, cassa integrazione, mobilità, sospensione dal lavoro;

– che i migranti, così come tutti quei lavoratori che non usufruiscono di ammortizzatori, partecipino alla pari di ogni altro lavoratore a ogni misura di sostegno e vedano salvaguardati i contributi che hanno versato;

– che i migranti e tutti i lavoratori possano rinegoziare i loro mutui in caso di perdita del lavoro; il blocco degli sfratti per tutti i lavoratori e le lavoratrici nella stessa condizione, perché sappiamo che un migrante senza contratto di locazione è un lavoratore clandestino;

– il mantenimento del divieto di denuncia dei migranti senza documenti che si rivolgono alle strutture sanitarie e della possibilità di registrare la nascita dei loro figli;

– il ritiro della proposta di un permesso di soggiorno a punti e di qualunque tipo di “contributo” economico, sia esso di 80 o di 200 €, per le pratiche di rinnovo dei permessi.

– il blocco della costruzione di nuovi centri di identificazione ed espulsione, l’utilizzo dei fondi stanziati per iniziative a favore di tutti i lavoratori colpiti dalla crisi, la cancellazione di ogni norma che preveda l’allungamento dei tempi di detenzione, la chiusura dei CIE.

– la garanzia di accesso al diritto d’asilo e il blocco immediato dei respingimenti alla frontiera in attesa della promulgazione di una legge organica in materia.

PER ADESIONI:
da.che.parte.stare@gmail.com Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo.

SITO INTERNET:
www.dachepartestare.org

FACEBOOK: cerca tra gli eventi “Da che parte stare – Milano 23 Maggio 2009”


Coordinamento immigrati Brescia
Coordinamento migranti Bologna e provincia
Rete migranti Torino
MayDay Milano
Impronte – Rete per la libertà di movimento Roma
Rete 28 aprile
Associazione Città migrante – Reggio Emilia
Coordinamento migranti FIOM-CGIL – Parma
Coordinamento lavoratori immigrati CGIL – Reggio Emilia
Coordinamento immigrati CGIL – Brescia
Coordinamento migranti FIOM-CGIL – Bologna
Associazione diritti per tutti – Brescia
Sportello Illegale CSOA Gabrio – Torino
Cittadinanza globale – Verona
Ya Basta! – Bologna
Coordinamento migranti Terza Italia – Senigallia
Coordinamento migranti basso mantovano
Sinistra critica – movimento per la sinistra anticapitalista
Laboratorio femminista Kebedech Seyoum
CSOA Casaloca – Milano
Coordinamento Nord sud del mondo
Associazione culturale “Carlo Giuliani” – San lazzaro – Ozzano (BO)
Comitato di solidarietà con profughi e migranti – Torino
Asociación Real Juvenil – Milano
Case di Plastica – Milano
Assocafé (Asociación Cultura Arte Fuerza al Exterior) – Milano
Associazione Antigone – Milano Città Aperta
Sinistra Critica – Milano
Rete Antirazzista Campana
Coordinamento Immigrati Bergamo
Lavoratori migranti FIOM – Bergamo
Rete Antirazzista Catanese
CUB
Coordinamento migranti Verona
Le radici e le ali ONLUS – Milano
Carta
Agenzia per la Pace –Valtellina,Valchiavenna e Alto Lario
Rete Milano Città Aperta
Naga
Associazione Todo Cambia – Milano
Coordinamento Nazionale Migranti FIOM
Sinistra critica Calabria
Sinistra critica Firenze
Il Coordinamento lavoratori della Scuola “3 ottobre”
Cobas Scuola – Cosenza
Associazione Arcobaleno insieme senza frontiere – Sondrio
Associazione I Rom per il futuro – Torino
SdL intercategoriale
Csa Magazzino 47 – Brescia
Sinistra critica – Mantova
Scuola Popolare Migranti – Cologno Monzese
Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea
PRC – Lombardia
PRC – Federazione di Milano
Associazione ALFABETI Onlus – quartiere S. Siro Milano
Rete italiana di solidarietà con il popolo kurdo – Milano
Comunità kurda – Milano
L’Alternativa – San Paolo d’Argon (Bg)
Rete nazionale sicurezza sul lavoro – Ravenna
Associazione culturale Umoja – Parma
CISDA FVG – sportello operativo Coordinamento Italiano Sostegno Donne
Afgane – Trieste
Unione Migranti – Sondrio
Coordinamento Rifugiati e Migranti di Amnesty
Cantiere
Comitato per non dimenticare Abba e per fermare il razzismo
Comitato in supporto dei rifugiati di Milano
Ambulatorio Medico Popolare