A Roma, il 15 ottobre, ci siamo uniti alle centinaia di migliaia di uomini e donne che avevano deciso di mostrare la loro rabbia. Rabbia contro la banda di cialtroni che, al governo come all’opposizione, gestisce la cosa pubblica; rabbia contro le istituzioni finanziarie, le banche, pronte ad affamarci pur di mantenere lo status quo di un sistema iniquo e fallimentare.
Il corteo del 15 era un corteo determinato a far sentire la propria voce e che volentieri si sarebbe diretto verso i salotti buoni della capitale: in tutto il mondo la protesta ha preteso ed ottenuto di svolgersi là dove stanno i Palazzi del potere. All’unisono l’indignazione globale ha deciso di colpire i nodi nevraligici di questa rete che ci ingabbia, mostrando le potenzialità rivoluzionarie di chi non ha più nulla da perdere, ma sa quello che vuole.
Forse aggrappati ancora a dinamiche vetuste, alla vetrina elettorale, si è deciso di smorzare il potenziale del 15 ottobre, di annacquarlo in un corteo con comizio finale. Così una giornata che poteva essere di riscatto globale diveniva una enorme passeggiata creando un vuoto conflittuale che avrebbe potuto invece essere riempito con modalità e percorsi diversi, anche solo a livello simbolico.
Evidentemente qualcuno ha voluto sovradeterminare con le proprie istanze o per volontà autorappresentativa la giornata del 15. Non ci interessa sapere quale fine regista più o meno politicante ci sia dietro. I movimenti hanno tutti gli strumenti per comprendere. Ma se non partiamo da questi dati non possiamo farci un’idea corretta della giornata di sabato.
E certamente non facciamo finta che questa sovradeterminazione sia stato l’unico tentativo di autorappresentazione portato avanti il 15 ottobre.
Questo vuoto conflittuale è andato colmandosi in maniera furiosa, talvolta superficiale, purtroppo talvolta pericolosa, e la rabbia che permeava il corteo e che s’è espressa poi in piazza San Giovanni, è inciampata su chi ha colto l’occasione per marcare la propria presenza.
Spiace vedere come gli unici elementi che avrebbero dovuto determinare il corteo, le lotte reali e sostanziali che tutti i giorni portiamo nei nostri territori contro quel mostro che si chiama crisi, le lotte per la casa, per i diritti dei migranti, per un libero sapere, abbiano visto da un lato ridurre il loro potenziale conflittuale a poca cosa e dall’altro siano stati mortificati da altre istanze.
Ma anche in questo caso siamo convinti che i movimenti sappiano muoversi per fare, al loro interno, le valutazioni più corrette.
Nonostante queste contraddizioni, il potenziale conflittuale che permeava il corteo ha avuto la sua dimostrazione nella resistenza in piazza San Giovanni, dove i corpi, che subiscono la violenza della crisi tutti i giorni, hanno reagito, questa volta esprimendo la loro sacrosanta rabbia. E sia chiaro, resistere alle cariche demenziali e criminali degli apparati di sicurezza pubblica (cariche fatte con mezzi sparati a tutta velocità contro i manifestanti, uso massiccio di gas urticanti, idranti, ma chissà perché di tutto ciò nessuno si scandalizza, dove sono in questi casi le anime nobili, i giornalisti sempre con la parola violenza in bocca?) è stato giusto e doveroso.
Il corteo si è semplicemente, e giustamente, difeso. E non poteva fare altrimenti.
A maggior ragione in questo caso, rimandiamo al mittente il giochetto dei buoni e dei cattivi, chi era lì ha saputo come comportarsi.
E le biografie dei fermati e degli arrestati sono chiare: sono precari, sono parte del nostro mondo. Hanno manifestato in maniera radicale. Devono tornare presto liberi!
Chi si scandalizza non ha ancora chiaro quanto sta succedendo, o fa finta di non vedere. Spiace dirlo, ma chi si scandalizza è complice.
Condanniamo lo schifo che è la pratica della delazione che da molte parti viene perorata, perché non ci si può trasformare da indignati contro il sistema che ci opprime a strumento di repressione contro chi prova i vostri stessi sentimenti e vive i vostri stessi, drammatici, problemi. Esprimiamo tutta la nostra solidarietà alle realtà di movimento che stanno subendo da parte di stampa e politica, attacchi infamanti
D’altra parte i media, come sempre hanno avallato le esigenze dei poteri forti, riducendo quella che era la piazza del 15 ottobre ad un fatto meramente di ordine pubblico, non accennando alla forza mobilitante di centinaia di migliaia di persone autorganizzate scese in strada con rivendicazioni radicali, e queste sì realmente portatrici di consenso. Nello stesso ambito di demonizzazione è chiaramente da inserire la macchina del fango che da subito si è messa in moto rispetto alla manifestazione NO TAV di domenica, sintomo di come sia oggi più che mai, il frangente in cui dover isolare i movimenti di lotta, per lo più se popolari.
Ci auguriamo che le tante anime innocenti sappiano indignarsi di fronte alle proposte liberticide che da Di Pietro a Maroni vengono proposte. Attaccare la libertà di manifestare è tipico di coloro che stanno lavorando per sfasciare le istanze di riappropriazione che dalla Val Susa a Roma emergono in tutta la loro potenza.
Noi siamo arrivati a Roma con alle spalle le nostre lotte e i nostri percorsi, con un immaginario di riscatto e di cambiamento, con la volontà di opporsi ad oltranza al sistema fallimentare che ci sta trascinando nel baratro.
A Roma abbiamo visto che l’indignazione tanto eterea che si percepisce nei network, riesce a sublimarsi in centinaia di migliaia di corpi, determinati e decisi a non inginocchiarsi più, ed in una lotta che ha molteplici fronti ma un unico obiettivo: cambiare il sistema.
Siamo noi il limite al dilagare della barbarie…
NOI LA CRISI NON LA PAGHIAMO!
TUTT* LIBER*!
CSOA GABRIO